Recensione Outlander Episodio 301: The Battle Joined

Attese, lunghe attese, preparazioni, la tensione sale nel sangue, i nervi si tendono. Lo stomaco si contrae, nell’esigenza di essere liberato. Non c’è tempo, non c’è più tempo e come quando l’inevitabile si presenta dinanzi e lo si deve affrontare, il tuonare dei cannoni di Culloden è lì, che squassa l’aria. Finalmente la terza stagione è arrivata, attesa, desiderata, in parte temuta da chiunque abbia un minimo di sentore del dolore che porterà con sé. Dopo il riassunto arriva la sigla. La potenza della musica è quasi un ricordo, all’inizio, mentre le immagini scorrono, sento gli occhi che si lucidano, lacrime, mi accade, sovente, quando l’emozione deve traboccare. Le immagini sono cambiate, ce ne sono di questa stagione e sono ben visibili. La pletora di produttori speciali, associati e vari mi ha impressionata favorevolmente, se costa così tanto, c’è la possibilità che sia una stagione incredibile. La regia del primo episodio “The Battle Joined” è di Brendan Maher.  Fa pensare quel “basata sui libri di…” quando Moore si è premurato di trascrivere interi dialoghi. Per altri lavori il “basato su” è una presa di libertà che sa di colonie contro la patria di origine, qui vuol dire davvero lo abbiamo basato su quel che Diana Gabaldon ha scritto. Ma non c’è nessun “quadro” iniziale, siamo presi e gettati nel fango, nelle grida, nella fine. Ed ora venite con me, proverò a portarvi nell’episodio. La bandiera scozzese sventola, deturpata, poi carri, l’agghiacciante visione di una montagna di cadaveri. Sono gli Highlander che gli Inglesi finiscono a colpa di baionetta. I rumori sono terrificanti e incredibili, definitivi. Le Giubbe Rosse frugano nelle tasche, portano via gli spadoni, un carro priva l’onore alla bandiera e poi, eccolo, lui. Nel mucchio, sopra, probabilmente caduto per ultimo, vicino ad un Inglese morto che lo ripara. Jamie Fraser che si è dato anima e corpo a Culloden, col desiderio di morire, perché la sua vita, senza il suo grande amore, non ha più nessun valore. Morire, con onore, ma morire. Il primo respiro, quello che un neonato compie subito dopo la salita alla luce, torna nel petto di Jamie, che rantola. Confusione, dolore, shock. Quei piccoli gemiti che sono intessuti nella sofferenza. Esangue, sospeso tra cielo, grigio, terra, fangosa, morte, dolorosa, Jamie è lì. Un ragazzo viene finito davanti i suoi occhi, ché non lo lascia morire da solo, lo trattiene con lo sguardo, sino all’ultimo. Il rantolo, il respiro di Jamie è la misura della disfatta, l’attesa della morte. Che cosa è successo? Frammenti di ricordi, come schegge, tornano su: cannonate, Jamie che urla nella carica, Black Jack Randall che combatte. Ed eccolo, alto, torreggiante, Jamie Fraser che raggiunge Bonnie Prince Charlie, che vuole vedere il Duca di Cumberland bere dalla fiaschetta che suo padre gli regalò per il 21 compleanno e poi “Tulach Ard” tra i colpi di cannone, perché ricordiamolo che gli Highlander combattono con spadoni e asce e a petto nudo contro moschetti, cannoni e divisioni equipaggiate molto meglio. Una fine scritta, ma un Highlander non indietreggia. Mai. E poi il silenzio, le ore che passano, nel dolore che stordisce, ci lamentiamo così tanto per un dente che duole, pensate allo spasimo di un corpo stanco, che è anche ferito, agonizzante. La neve, sollievo, un tocco di dolcezza, spettrale, perché se nevica è troppo freddo anche se si è in salute, figurarsi in principio di morte. Fiocchi di neve si posano sulle labbra arse di sete, tentativo di bere. Poi, di colpo, cannoni, lontani, Craigh na Dun e il tormento, indescrivibile, averla persa, per sempre. L’arrivo al campo degli Scozzesi, a cavallo, la battaglia. Immaginate un rumore, il più forte che abbiate mai sentito e continuate a immaginare di udirlo, ancora e ancora e siete nel mezzo di un posto affollato, uomini, cavalli, ancora colpi di cannone. Che fareste? Quale è il pensiero che vi dilania la mente? I comandanti giacobiti che parlano di diversivo, il giovane leone, Bonnie Prince Charlie che si rende conto che non c’è nessuna bella donna da palpare, niente vino, niente anelli da far baciare, ma c’è l’odore della polvere da sparo, acre, ferisce la gola, le orecchie rimbombano ad ogni cannonata, c’è da comandare la carica. Ma no, non lui. Lui è annientato. Chi si getterà nella mischia? Ed eccolo, un gigante dai capelli rossi, che vuole morire, ma vuole farlo a modo suo. Ora o mai più, sire. Charge! Lo scontro è più che feroce, uomini che si ammazzano tra loro, non so se si può immaginare qualcosa di più violento. Murtagh, dove eri, a farti un goccio di whiskey? Un Inglese trafitto, il padrino salva la vita di Jamie, non c’è di che, poi l’annuncio che gli uomini di Lallybroch sono salvi, a casa. Perché Murtagh è un uomo di parola, lui sa mantenere un giuramento. Caricare file di nemici armati solo col furore, gli spadoni e le urla. Siamo alla fine dei clan, la fine di un modo di fare guerra in favore di uno del tutto diverso. I moschetti inglesi, micidiali, falciano le file degli Highlander. Jamie Fraser elargisce morte, nella mischia, gli Inglesi non sono adatti ad una vera carica Scozzese. Muoiono. E, di colpo, non c’è più grigio, non c’è più oscurità della notte, l’alba arriva insieme al fuoco. Su un cavallo un capitano dei dragoni si batte con veemenza, fino a che non viene disarcionato sotto lo sguardo del suo più grande nemico. Ed è in quegli sguardi, in quella mimica facciale, rabbia e determinazione furente da un lato e ironica superiorità dall’altro che, al suono del battito del cuore, i due si affrontano. La musica incalza, lo scontro è un corpo a corpo che risuona nella nostra mente, che squarcia l’oscurità di un altro scontro, solo che stavolta Jamie ringhia in viso a Black Jack tutto il suo odio ed è armato. Un enorme, furibondo, letale Highlander. Nessun colpo è risparmiato, il fuoco appiccato dagli Inglesi rosseggia nel campo, illumina un uomo granitico, che, colpo, dopo colpo, dopo colpo, fino allo stremo, finalmente, uccide il Capitano dei Dragoni Jonathan Wolverton Randall. E non c’è pietà, non ci sono lacrime, per lui. Qualcuno lo ricorderà. Ma non saranno Scozzesi, se non uno. Cadono insieme, nel momento della morte, Randall sembra cercarlo, ancora. Ossessione e dolore. Ed ecco che, in un primo piano che sale su dal ventre della terra, ove l’oscurità è palpabile, una luce sommessa rivela chi sia l’inglese morto che ripara Jamie vivo. Imprigionato nell’abbraccio di Randall, il signore di Lallybroch agonizza in attesa della fine. Con la musica che sale di tono, che stringe il cuore, nevica, buio, una donna vestita di bianco attraversa il campo di battaglia. Si avvicina, lo carezza e “Sei ancora vivo?” Claire, adorata. Ma è solo un’allucinazione, o il grido del cuore. In realtà è Rupert che lo soccorre mentre Jamie, disilluso, gli chiede di lasciarlo lì (Anche se sei un testone che non regge il whisky e Jamie replica: Sotto il tavolo ci finisci prima tu) e con Rupert c’è Gordon Killick e portano via Jamie. Dallo sporran cade, illuminata dal ricordo, l’ambra con la libellula (Dragonfly in Amber, la scorsa stagione, che idealmente termina così) e si perde. Ricordate che Claire la vede nella teca del museo di Culloden, quando va a dare l’addio a Jamie, sul campo di battaglia? Ed è la libellula che ci porta dalla nostra Claire. Siamo nel 1948. A Boston e Claire e Frank scelgono dove vivere. Notate gli abiti, Terry Dresbach non è perfetta solamente con i costumi del diciottesimo secolo, nessuno dei due è fuori posto, dai capelli, ai colori, agli accessori. E dal fango di Culloden passiamo al blu e al verde, legnoso, di Boston. Progettano, lo studio di Frank, che è premuroso, gentile, scherzano (Frank che imita gli americani), dividono aspettative. Una vita nuova che inizia, a tre. I mesi passano, le bestemmie restano, Jesus H. Roosvelt Christ sancisce quell’essere lì, di Claire. Affranta e col pancione, sul divano,  che in un rimando di specchi e di solitudine, fa quello che sa fare meglio: non arrendersi. La cucina stenta? Si va di camino e con la legna in mano e una nuova conoscenza, Millie Nelson, prepara il pranzo, alla maniera di una volta, quando era in Scozia. Ovviamente lo giustifica citando lo zio Lamb, avrebbe mai potuto dire: ho vissuto tre anni nel diciottesimo secolo, in ogni dove, so cavarmela con i fuochi da campo ma non con le cucine? Frank è un progressista, apprezzerà le sorprese, you’re lucky, le dice Millie, dove trovare un uomo migliore di Frank? – Lo troviamo agonizzante, in un casolare, con Rupert che lo fa bere e poi valuta la possibilità di scappare nella notte, ma le truppe Inglesi sono dappertutto. – Ed ecco Claire, la sua pancia cresce, esattamente come il distacco dal mondo in cui vive. Vi prego di notare l’elegante bravura della fotografia di scena, Claire si trucca, devono incontrare il capo di Frank, c’è una magnifica apertura sul cielo nuvoloso e sulle guglie dell’università. Durante la riunione si parla di Truman e quando Frank si esprime l’atteggiamento del suo superiore è di paternalistico distacco,  ma quando è Claire che interviene, le altre donne sono impietrite, palpabile e denso imbarazzo, una donna deve stare zitta, al suo posto. Il discorso verte sull’idoneità delle donne agli studi, Frank elogia Claire, il rettore liquida tutto come “necessità in tempo di crisi” ma poi tutto deve tornare nei ranghi: le donne devono essere felici di pulire casa e fare figli. E Claire, che si è trovata di fronte a gente assai più pericolosa, due su tutti Sua Maestà Luigi XV e il Duca di Sandrigham, sorride e lascia correre e tutto sfuma. Guardiamola questa Claire imprigionata in un tempo e in un ruolo che non è suo. Non può esserlo. Claire che nel diciottesimo secolo, in cui le donne sono solo fattrici, parla a testa alta, si batte, cura, affianca il marito, che non avrebbe permesso ad un altro uomo di trattare sua moglie con quella sufficienza, nonostante i doveri diplomatici, questa Claire non è a suo agio nel suo tempo. Le sta stretto più e in misura peggiore di quegli abiti che le tirano sul pancione.  Ed ecco che lei e Frank escono, in silenzio, il marito si preoccupa, “Va tutto bene? Sei molto silenziosa” e lei, che finge, ancora, di continuo “Sto bene”. Che sia una bugia è palese nella successiva, immediata espressione smarrita. Dal blu e grigio di Boston al grigio di Culloden,  il casolare, nella mattina livida, nuvolosa e fredda del diciassette aprile. Jamie chiede di Murtagh, ma non c’è, mentre Rupert domanda ad alta voce, nel rifugio degli Highlander feriti entrano due Inglesi, ufficiali, Lord Melton, che si presenta, Rupert fa lo stesso. Il coraggio che cosa è? Coraggio è non inginocchiarsi dinanzi alla fine sicura. Coraggio è alzare il mento e fissare il nemico negli occhi. Coraggio è Rupert MacKenzie quando Lord Melton annuncia che per ordine di sua grazia il Duca di Cumberland tutti i traditori devono essere uccisi e chiede se ci siano uomini che si dichiarano innocenti. Rupert, un leggero sbuffo coraggioso, quasi sfrontato, risponde che non ce sono, sono tutti traditori: saranno impiccati? Melton lo apprezza, gli dice che saranno fucilati, come soldati. Rupert ringrazia. Lord Melton concede loro un’ora per prepararsi, per scrivere lettere, magari, il cancelliere della truppa inglese ne prenderà nota. Saltiamo, ancora,  dalla gelida primavera scozzese alla mite primavera americana, in un interno cucina Claire prepara la prima colazione, ma il latte è acido. Se ne disfa per farsi catturare poi l’attenzione da un uccellino e sul suo viso leggiamo la commozione. Mi sono chiesta come mai questa vista la colpisca così tanto? E poi mi sono ricordata dei suoi giorni scozzesi, di quel continuo contatto con la natura, adesso vive in città e poi è incinta e la primavera porta di nuovo la vita, come quella che lei ha nel ventre, il solo motivo per cui, credo, non si sia arresa, perché adempie la volontà di Jamie. Un uccellino zampettante può scatenare correnti che diverranno fiumi impetuosi. I discorsi con Frank sulla colazione sembrano allegri, uova col bacon e una bustina di tea (gli americani usano così), notate i Kellogg’s Cornflakes in secondo piano, un colosso dei cereali che c’è da sempre, o quasi, la cucina è verde, vira sul grigio e verde, dove Frank critica la mania degli statunitensi per il nuovo e Claire dice che le piace proprio per quello, un Paese giovane, entusiasta e poi esprime il suo desiderio che il loro bambino abbia una casa vera. Ed eccola, nei sospiri di un Tobias Menzies bravissimo, la commozione di Frank, il momento è intimo, quello di una famiglia che sta crescendo. Ma tutto scoppia: non si fa toccare la pancia. Tutto salta su, lei non vuole essere toccata e lui vuole una vera moglie, lei si attiene alla richiesta di non parlare del passato e lui controbatte che hanno deciso di allevare il figlio insieme mentre ancora non è nato e già è solo di Claire. La discussione potrebbe sembrare quella tra tante giovani coppie reduci dallo stress post traumatico della II Guerra Mondiale, che faticano a reinserirsi nella vita normale, le donne che hanno lavorato in fabbrica e si sono mantenute da sole adesso devono tornare a chiedere tutto all’uomo, dipendere per tutto. Ma no, qui siamo su altri piani, qui la discussione risale a secoli addietro. Risale al fatto che questa coppia non ha più un collante importante: l’amore. Perché Claire ormai è perdutamente innamorata di Jamie, Highlander rimasto nel 18° secolo, mentre Frank è disperatamente, inesorabilmente innamorato di lei e quando litigano, lo avete visto? La rabbia, quella stessa rabbia che lo portò in Scozia a picchiare i finti informatori su dove fosse la moglie, adesso emerge, ma lui la tiene a bada. Perché è un uomo del suo tempo, perché non è uno che risolve le cose con i pugni, perché ama Claire Randall, ma non a qualunque costo: Claire è libera di restare o di andare, ma quel che fa, deve farlo in piena libertà. E tutto possiamo dire di Frank, tranne che non le abbia dato una comprensione che nessun altro uomo del suo tempo avrebbe avuto. So che l’obiezione è: Jamie si. Ma Jamie Fraser è eccezionale in qualunque tempo e non si può paragonare un gregario, per quanto onesto e impegnato, ad un leader. Quel leader che è lì ad agonizzare. Rupert tenta di salvare due ragazzini, non si può. Giles e Frederic vanno a morire a testa alta, probabilmente coetanei di William John Gray. Gordon Killick chiede a Jamie se voglia scrivere alla famiglia e riceve un no. La prossima domanda la immaginiamo, vero? Allora gli chiede se voglia scrivere a sua moglie, a Claire. “No, lei se n’è andata.” Ma Gordon non sente la replica, quella risposta che non arriverà mai. Lord Melton non sceglie, fa scegliere, tanto tutti dovranno morire. Non è un compito che gli piace, ma lo esegue, è un uomo leale e fidato. E così Killick muore. E muore anche Rupert Thomas Alexander MacKenzie, che non perdona Jamie per aver ammazzato Dougal ma non scenderà nella tomba con quel peso, affidandosi alla misericordia di Dio e sperando di trovare Angus che lo aspetta. Sapete? Qui il mio cuore si è spezzato. Ho ripensato a quel duo comico di Rupert e Angus, a tutto quello che hanno combinato, poi eccolo lì da solo, che si presenta e snocciola il suo nome e, com’è ovvio, vero? Scherza “Andrò piuttosto spedito quindi cercate di stare al passo.”. Perché la morte si affronta anche così, con quello spirito che sembra cinico ed è, invece, intessuto nel coraggio. In un coraggio che ha ben pochi imitatori. La scarica di fucile e Rupert non c’è più. Ho immaginato, mentre la commozione mi serrava la gola, che abbia trovato Angus ridente, al solito del tutto sopra le righe, e debitamente munito di whisky nell’al di là. Mi piace pensarli così. Jamie pare ormai morire, piangendo dice qualcosa in gaelico (ma tradurranno mai?), e nel buio sembra il viso di Black Jack che aspetta? No, non l’anima dannata, ma Frank, che tenta di dormire sul divano. Ma i rumori di casa lo tengono sveglio (l’orologio che ticchetta e che non essendo al quarzo ma dotato di un bel meccanismo a ricarica fa fracasso, poi la goccia sulla pila di piatti non lavati, la ventola del frigo) ed allora esasperato si alza, per scrivere al reverendo Wakefield col quale è in stretto contatto epistolare. Chiedendo notizie di Jamie, ma a Claire si sono rotte le acque. Frank fa “scaldare l’auto” e pensiamo al riscaldamento interno, ma sapete che all’epoca non si accendeva e si partiva? No, il motore andava fatto “scaldare” un minimo, così funzionava, era tutto meccanico e, almeno, se si rompeva qualcosa si riparava. Perché era ancora il mondo in cui le cose, gli oggetti, dovevano durare, a lungo. Al di qua dei secoli, intanto, Lord Melton finisce di far fucilare i ribelli, ma non sdraiati, quelli che non possono camminare devono essere sostenuti, non si spara su uomini che non siano in piedi. Sembra sciocco vero? In fondo, si ammazzano lo stesso. Ma un uomo deve avere l’onore e la possibilità di affrontare la morte a petto in fuori. Che differenza con quel che siamo diventati. Ma qui siamo ancora nell’epoca in cui gli eserciti si affrontavano a viso aperto. Le guerre di trincea cambieranno non solo il modus operandi in battaglia ma tutto il mondo che c’è dietro. Quando arriva il turno di Jamie, però, Lord Melton si trasforma nella moglie di Lot. Quel James Alexander Malcom MacKenzie Fraser lo paralizza. Perché? Lord Melton non è altri che il fratello maggiore di John William Gray, sedicenne che fu graziato da Jamie quando tentò di sparare a Red Jamie, il famigerato capo Giacobita. Il futuro Lord John Gray gli deve la vita e Lord Melton non può uccidere, per quanto lo desideri, proprio il famoso Capo Giacobita Fraser. (Promise di uccidermi ma non è un problema se lo fai tu al suo posto). Si consulta col sottoposto, il lieutenant Wallace, gli spiega tutto e per quanto Jamie voglia essere fucilato (Non posso neanche sparare al bastardo… Se lo fai, non lo dirò a nessuno) Lord Melton non può, per l’onore della sua famiglia, si fa procurare un carro e con quello manderà via Jamie e se morirà nel viaggio, non sarà colpa sua. Ed eccola la musica che incalza, mentre la notte scende, nel lungo, interminabile scomodo viaggio, Jamie è mortalmente ferito e ce lo immaginiamo il dolore che può aver provato tra freddo, buche e scossoni? E’ l’alba. Ma non per Claire che sta avendo le contrazioni, i Randall scherzano, fino a quel “E’ il primo figlio? Si, no, ho avuto un aborto.” Faith Fraser. Mentre il dottore manda via Frank, lui dà a sua moglie quel “Claire i love you.” Che lei non ricambia. Per via delle contrazioni? No, a meno che le contrazioni non somiglino ad un Rosso Giacobita con gli occhi azzurri da gatto e il sorriso sensuale che la ama, riamato, con tutto se stesso. Claire ha avuto un aborto e il medico giudica che cosa sia meglio per lei, questo esiste tutt’oggi purtroppo, la medicalizzazione del parto, come pratica chirurgica che decide il dottore, quando per secoli l’ha deciso la Natura e la madre, era pratica consueta, anche il cesareo per non avere complicanze a prescindere anche solo dal provarci, a far partorire naturalmente. Jamie giunge a casa, a Lallybroch ed è Jenny la prima persona che vede. Avete visto il sorriso dolce quando pensa di esser morto, la delusione concentrata quando, invece, capisce che non è così? E poi è Jamie e quindi essere a casa, con Jenny lo induce ad abbracciarla, sebbene sia ancora fuori combattimento. Lallybroch noi che ce lo ricordiamo desolato, quando Claire lo visita nel 1968, lo rivediamo vivo, abitato. Perché è così che deve essere, il Laird di Lallybroch è tornato e poco importa che abbia destinato i suoi beni ad altri. Lui è Jamie Fraser, che voleva morire in battaglia e grazie, fortuitamente, a Black Jack non muore. E grazie “ai piccoli atti di misericordia”, salvando la vita ad un sedicenne, il fratello maggiore di quello sarà costretto, da un debito di onore, a rendergli salva la vita. Vita per vita. E adesso, senza Claire, senza speranza di felicità, è lì: Lallybroch. E’ a casa. Claire ha partorito, si risveglia, il panico le serpeggia addosso e sembra strozzarla, ma arriva una infermiera, la consola. Il mio bambino? E’ morto? Ma ecco Frank, ha Bree, in braccio, si avvicina, Bree strilla, si tratta pur sempre di una Fraser, Claire e Frank si riappacificano, commossi, uniti, di nuovo, questo è un nuovo inizio, per tutti, si può ricominciare, davvero. Ma ogni tregua si poggia su certezze sottili come il ghiaccio. E’ bastante che l’infermiera chieda “Da chi ha preso i capelli rossi?”, giacché i genitori sono tutti e due scuri, e mentre Claire resta a guardarla, Frank si sente morire.

Qualche considerazione: questo è stato un ritorno decisamente grandioso. Non ricordo di aver mai smesso di sentirmi tesa o di aver pianto così se non negli episodi più intensi. Ma che potevamo aspettarci da questa produzione? Ci hanno abituati bene, anzi, benissimo. Siamo dinanzi ad una stagione coi fiocchi. La musica è almeno perfetta, a costo di ripetermi le interpretazioni, da Sam, Cait, Tobias a Lord Melton a Rupert, ai ragazzi, sono del tutto incantevoli, non un’espressione in più, nessuna sbavatura, non c’è nulla fuori posto. Qui siamo davanti ad un capolavoro. Il libro da cui è tratto è tra i miei preferiti tra quelli pre coloniali. E sapete? Hanno avuto un’aderenza altissima al romanzo. L’immagine spettacolarizza, rende di facile fruizione la pagina scritta, ma è dallo scritto che si parte e se quello non ha stoffa, non c’è verso. Qui, invece, la parola diventa immagine e diventa emozione. Abbiamo iniziato alla grande, restate con noi.

Bentornata Terza Stagione.

Recensione a cura di Cristina Barberis.

11 Risposte a “Recensione Outlander Episodio 301: The Battle Joined”

  1. bellissima recensione, concordo su ogni singola parola e ho trovato più spaventosa la prigionia del modus vivendi patriarcale del 1948 che è poi quello nostrano che l’orrore della guerra … Rupert che grand’uomo no? mi ha fatto piangere come una fontanella … Povera Claire in un mondo che non è più il suo, con una figlia che è il solo legame con quel mondo e quel tempo in cui si è davvero sentita partecipe e a casa e che sembra in realtà essere un perno per scardinarla da questo cui è dovuta tornare … Non vedo l’ora di vedere il prossimo episodio, anche per vedere se Randall è morto o meno, dal momento che con la lettura sono ancora a Culloden

    1. Ti ringrazio Fulvia, davvero e di cuore. Purtroppo Claire faticherà a trovarsi in un tempo e in una mentalità che non sono più i suoi, specialmente dopo gli anni passati in Scozia dove, seppure tra difficoltà oggettive date dal tempo e dai modi, aveva assai più libertà e costruirsi la vita negli anni 40 e 50 diventerà una continua sfida, ma lei è una che non si arrende, mai.
      Rupert è stato uno dei protagonisti secondari meglio riusciti a parere mio e avergli dato questo spessore anche nella “fine” è stato un omaggio molto sentito. Mi ha commossa davvero. Su Black Jack non dico nulla, se non che avremo altri antagonisti di rango, anche se non sempre umani. Continua a seguirci.

        1. Finalmente Cristina è tutto ricominciato! Per me, “Otlander ” senza le tue recensioni perderebbe molto. Mi sei mancata e finalmente eccoti qua…. si ricomincia alla grande!
          Come al solito oltre alla puntata salvata, salvo anche i tuoi pareri che collimano perfettamente con i miei. Dai voce ai miei pensieri che non mi riuscirebbe esprimere così bene. Perciò grazie e non vedo l’ora di andare avanti.
          Un grande abbraccio e mi auguro tu abbia trascorso un’estate bellissima
          Luciana (una grande tua ammiratrice)

          1. Grazie Elly e grazie Carla, di cuore, davvero. Mi fa molto piacere leggervi. Spero di avervi come compagne di viaggio, in questa stagione, così da commentare insieme.
            Luciana, cara, come stai? Estate passata molto bene, spero anche tu!
            Le tue parole mi danno, sempre, lo stimolo a migliorare, confesso che ricominciare la stagione con i tuoi commenti è molto gratificante. Sul serio.
            Questo appuntamento reciproco è decisamente piacevole, resta con noi 🙂 e ricambio di cuore l’abbraccio.
            Cristina.

          1. Tutto bene cara Cristina. Mare e sole, sole e mare….tutti e 4 i mesi. Una visitina alle 5 terre e porto Venere e poi mi sono goduta appieno i nipotini. Ritornando alla 1 puntata (stupenda e commovente) con questi attori bravissimi che per me sono da premio Oscar… solo una cosa mi ha lasciato perplessa. Murthag (si scrive così ?) che fine fa? non si vede morire, ne è ferito… possibile che abbiano dedicato così poco tempo ad un personaggio che nella serie è spettacolare e di vitale importanza? (piu volte ha salvato la vita di Jaime). Solo di questo sono rimasta delusa… per il resto non ho parole.
            Un bacione Cristina

  2. Ciao Cristina io sono una nuova appassionata di Outlander.. già dalla sigla,brividi!!! Bellissima recensione!!

    1. Grazie infinite Gloria 🙂 la sigla fu la prima cosa che mi colpì, le immagini sempre scelte con cura, che narrano una storia, la musica di enorme impatto emotivo, la bellissima voce…Resta con noi.

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