Recensione Outlander Episodio 508: Famous Last Words

“Vai via, vai via! Le ultime parole sono per gli idioti che non hanno detto abbastanza!” (Karl Marx sul letto di morte alla domestica che gli chiedeva se avesse delle ultime parole da lasciare)

Le ultime parole famose… sono quelle che non diciamo mai, perché non c’è un momento nella vita in cui declamiamo come se fossimo a teatro. No. E’ una allocuzione passata per proverbio, quando qualcuno afferma una cosa e magari succede il contrario, quella persona o chi gli è vicino esclama <Le ultime parole famose.> Deriva dall’aver tramandato una raccolta di detti ed espressioni attribuite a vari personaggi.  Per lo più si usa in modo scherzoso o ironico. Le ultime parole…Che diremmo se ci si trovasse di fronte alla necessità di riassumerci con poche parole? Lasciate stare l’orazione di Marco Antonio per Giulio Cesare, dico davvero: che cosa diremmo? Questo è l’episodio dei ritorni, delle attese, dei silenzi che urlano e delle voci che faticano per farsi ascoltare, dentro e fuori dei personaggi. Perché il dolore che ci attraversa non è sempre possibile lasciarlo da una parte e proseguire, no. Spesso non è nemmeno un peso sulle spalle. E’ aggrappato dentro il nostro cuore, radicato nelle viscere e se lo strappiamo, tiriamo via anche una parte di noi. Le cose che ci capitano non sono mai bianche o nere, spesso grigie, spesso nemmeno vediamo con chiarezza. Dopo il riassunto, che ci riallaccia a due episodi in particolare, arriva un inserto, un vezzo che abbiamo imparato a conoscere. “Famous Last Words” ottavo episodio della 5 Stagione si apre con una lunga scena, Oxford, 1969. Il professor Roger McKenzie ha dato dei compiti da fare ai suoi alunni e man mano che parlano ci rendiamo conto che ha chiesto di commentare le ultime parole famose di alcuni personaggi. I ragazzi presenti non sembrano essere all’altezza delle aspettative del professore che, incalzato dalle loro domande, ammette che le sue parole possono essere dimenticate dalla Storia purché le persone che lo amano ricordino quelle e i suoi gesti. Al finale di lezione assiste anche Brianna, che invita Roger a vedere “The great train robbery” un film niente di meno che del 1903, tanto lontano da noi quanto anche da loro sul finire degli anni 60. Tenete a mente questo film muto, in bianco e nero. Se vi capita, cercatelo, ha delle invenzioni geniali per quanto riguarda le riprese e i tagli delle scene. “Saranno davvero le ultime parole?” domanda Bree prima che la sigla ci tolga di mezzo il 20°secolo. Le mani di qualcuno accendono un vecchio proiettore che manda i titoli di testa, trovata geniale di una delle trovate geniali di questo episodio. Ci riallacciamo al film proposto da Brianna e leggiamo che l’episodio è scritto da Danielle Berrow (finora assistente della produzione) e diretto da Stephen Woolfenden. La prima trovata geniale è quella di mostrarci il ritrovamento di Roger Mac da parte della sua famiglia come se fosse un film muto, col rumore del proiettore in sottofondo e scoprire che…Respira. Claire gli pratica una tracheotomia, Brianna cerca d parlargli, Jamie lo rassicura, mentre Roger apre gli occhi ma non torna davvero alla vita. (In Vessilli di Guerra tutto l’episodio occupa più spazio ma le esigenze dio produzione impongono altre velocità). Tre mesi dopo Claire visita Roger che sta bene, la gola sta guarendo e la cicatrice è praticamente sparita, ma Roger Mac non parla, nonostante Claire lo solleciti a farlo. Quando subiamo un trauma è quasi istintivo chiuderci, trattenere il dolore dentro di noi, un po’ come i gatti quando stanno male, che si mettono in un posto caldo e sicuro per guarire. Ma questo, però, crea anche un disequilibrio col mondo esterno, nel quale ci troviamo e tra le persone che vivono con noi. Roger non vuole parlare e non vuole nemmeno bisbigliare, come suggerisce la moglie. La voce è il Dono di Roger Mac, lo abbiamo visto dare forma e corpo alle sue parole con la voce, a lezione. Lui canta. E’ stato colpito nel suo Dono più caratteristico. Oltre ad aver subito un trauma inimmaginabile, perché lui ha provato ogni fase del soffocamento. Ogni fase della morte. La sua lucidità di mettere la mano tra la corda e il collo ha solo rallentato la morte definitiva e meno male, diciamo, perché sono arrivati i soccorsi. Ma se non fossero giunti a cercarlo, sarebbe morto. Questo lui lo sa e non lo dimentica mai. Sua moglie lo asseconda, in questa fase. In fondo, lo ha riavuto sano e salvo. Lord John ha portato un baule di libri, regalo assai gradito in ogni epoca, e di altri oggetti. Brianna e Claire vanno a salutarlo, Roger preferisce di no. Le due donne lo lasciano solo e tra Roger che cerca di “schiarirsi” la gola e la musica, ecco i primi flash. Siamo nella mente di Roger, rivediamo William McKenzie, la cattura di Roger, la sua impiccagione. Sono fotogrammi veloci, drammatici. Ci raccontano che cosa sia successo. L’impossibilità di Roger di difendersi, dover subire una punizione ingiusta, che termina con la sua condanna a morte. Lo consegna proprio William, degno figlio di Dougal, con la coccarda gialla, che finge di essere chi non è. Ai tre presi a caso non viene permesso di parlare, imbavagliati, incappucciati, impiccati. Non c’è tempo per nulla, nemmeno per le ultime parole famose. Il dolore raccapricciante investe proprio la gola, che è l’organo dove risiedono le corde vocali, lì dove la nostra voce ha tono e spessore. L’occhio di Roger che cerca, che guarda è un colpo in mezzo al petto. Rendersi conto di dover morire e non poterci fare niente. Lo percepiamo il carico traumatico di un simile evento? Roger che abbassa le spalle è solo, come chiunque viva un dolore così profondo. La volata sul Ridge ci permette di alzare la testa e di immergerci in un racconto che Bree fa a sua madre. Quando era studentessa universitaria, Gayle, una sua amica, aveva un fidanzato reduce del Vietnam, che dopo un anno dal proprio ritorno si trovava ancora emotivamente in stato catatonico. Claire clinicamente lo chiama psicosi traumatica. Sono passati mesi, obietta Brianna, e Roger sembra “affogare nel silenzio” e per uno che usava la sua voce per spiegare, declamare, cantare e cercare di convincere il defunto Murtagh a mollare tutto, affogare nel silenzio è una condanna a morte. Quasi definitiva. Claire rassicura Bree, per quanto lei tema che Roger Mac si sia smarrito, deve avere fede che lo ritroverà. Sotto gli stati di trauma e dolore Roger c’è. La scena seguente si apre sul panorama del North Carolina, verdi vallate coronate da colline e ornate da fitti boschi mentre una voce femminile canta e vediamo che si tratta di Jocasta Cameron Innes che canta per Murtagh. Bellissima voce quella di Maria Doyle Kennedy (e cantano un po’ tutti in questa stagione, ci fate caso? Non solo Roger Mac) il cui personaggio, interamente vestito di nero, indossa al collo quanto lasciatole da Murtagh. Sotto lo sguardo dell’onnipresente Ulysses ecco che Jocasta può esprimere il proprio dolore per la morte di Murtagh, sepolto nelle terre di Jamie, a distanza debita dalla casa, con un pinnacolo di sassi per segnare il luogo dove riposa per sempre il padrino. La scena mi ha lasciato gli occhi lucidi e un enorme rimpianto, ma oramai è andata così. Lo abbiamo detto la scorsa volta. Non c’era via di scampo. Murtagh non sarebbe invecchiato, dal momento che averlo goduto tra noi per altre due stagioni è stato solo un prestito. Sotto il portico della casa grande, Jocasta rivela al nipote che avrebbe voluto erigere una lapide per Murtagh, anche se non essendo sposati, non sarebbe stata esattamente di sua pertinenza. Nemmeno Jamie e Murtagh erano padre e figlio, obietta il Rosso, ma questo non rende più sopportabile il dolore. Murtagh era leale, prima di tutto e non lo si può incolpare di questo, ammette Jocasta. Ha un abito diverso, quindi è probabile che sia passato qualche giorno, giacché tra la sua tenuta e quella del nipote ce ne sono almeno dieci di marcia. Jamie la saluta e Jocasta enuncia il punto cardine di tutto l’episodio “Quanta attenzione presteremmo se sapessimo quale commiato sarà l’ultimo.” Zia e nipote si abbracciano e Jamie resta solo, sulle scale, mentre osserva tutto quel che gli resta di Murtagh e può ancora piangerlo. Mi è piaciuta moltissimo la ripresa che parte dal pinnacolo e inquadra la Casa Grande, dalla quale esce fumo dai comignoli, come se Murtagh fosse sempre lì a prendersi cura di tutti loro. Attorno al tavolo ci sono Brianna, suo padre che le legge la lettera del Governatore Tryon, quel magnifico essere di Lord John Grey qui nelle vesti di postino, immagino e Claire. I cinquemila acri di risarcimento da parte del Governatore non interessano a Bree, lei rivuole indietro suo marito. Roger, che continua a misurare, in casa da solo, le possibilità della propria voce, osserva dei progetti, alza il proprio zaino e guarda il caso, uno dei manici di tessuto gli riporta alla mente il momento in cui lo incappucciano per mettergli la corda al collo. Roger trema allo stesso modo dei vecchi fotogrammi. Perché quelle immagini sono interne, sono dentro di lui. Man mano che lui lo rivive, anche noi lo vediamo meglio, i soldati che parlano, mentre aspettano che sia tolto il sostegno da sotto i piedi dei condannati, del viso di Roger vediamo più particolari, la motivazione della condanna, ancora gli occhi e sempre gli occhi, che si riempiono di sangue per la pressione della corda. Gli occhi che sono lo specchio dell’anima. Gli occhi che sono quel che di noi parla o tace, quando non possiamo farlo a  voce. Mi ha colpito che la stanza in cui Roger si trova sembri, a tratti, sfocata, che lui stesso sembri muoversi senza una direzione. E’ così che lui si sente, sfocato e privo di bussola. Mentre alla Casa Grande, Bree, raggiunta da Lord John, impeccabile in grigio, che le dona un astrolabio. Non era un oggetto comune, anzi. Non tutti ne possedevano uno, ci mancherebbe. “L’astrolabio è un antico strumento astronomico tramite il quale è possibile localizzare o calcolare la posizione di corpi celesti come il Sole, la Luna, i pianeti e le stelle. Può anche determinare l’ora locale conoscendo la latitudine, o viceversa.” Dalla definizione capite che sia anche difficile da usare, devi conoscere dove sei dal punto di vista geografico, coordinate ecc, invece Brianna lo prende, lo usa, stabilisce l’ora, come se avesse navigato con il Commodoro Norrington per tutta la vita! Questa mi è parsa strana. Ma vedere John lenisce sempre il mio malumore. Ed è lui che la incita ad avere pazienza. La notte scende, dal fiume che lambisce il Ridge risaliamo per raggiungere Claire che legge, raggiunta da suo marito. L’ora è tarda, decisamente. Claire legge un libro, magari uno di quelli portati da John e Jamie beve. Si dice contenta che il marito abbia trovato un modo per distrarsi, in quei mesi difficili. Che è una forma cortese di “ti sei dato all’alcol, di tanto in tanto, ma non ti rimprovero per questo” ed è ancora la forma paziente dell’accoglienza verso il traumatizzato. Purtroppo nell’epoca di Claire, dalla quale è tornata indietro, non esiste un rimedio medico per il lutto né una delle bestioline (batteri) che lo rosicchi via. Un’alba incantevole e la musica che apre il cuore ci portano a ridosso del fiume, dove le donne fanno il bucato (benediciamo sempre le comodità moderne!), oppure preparano le candele o danno da mangiare alle galline. La vita è ripresa, non è così? Perché è esattamente quello che fa, se sopravviviamo, và avanti, con o senza di noi. Jamie e Claire portano cibo a casa dei McKenzie e si mettono tutti a preparare. Roger Mac si è dato alla falegnameria, non dimentichiamo che il Nostro ha molte attitudini manuali, nonostante non sia tagliato per la guerra o la caccia. Se impariamo la differenza nei modi di dire “mio sangue” verso un bambino e quindi capire, se mai ce ne sia urgenza, che Jamie considera Jemmy suo sangue, Roger fa lo stesso, col tentativo di fermare Jemmy dallo scottarsi sulla teiera bollente. Roger parla ma è stato solo un atto disperato. Dentro di lui non c’è nessun processo di ricostruzione. Solo macerie e nonostante sua moglie ci speri, la sola cosa che le resta è cantare Oh my Darling Clementine al figlio, mentre il marito lavora. E se lei lo fa per mantenere una specie di promessa, resa prima di Alamance, e per scuoterlo, per lui ascoltarla cantare è sia dolcezza che agonia. Complimenti anche a Sophie Skelton, voce incantevole parte II, dopo Maria Doyle Kennedy. Roger che piange ci strazia e ci rende consapevoli che nessuno di noi apprezza quel che ha, fino a che non lo perde. Perché non istituiamo un Giorno della Consapevolezza, al mese? Secondo me servirebbe, se non altro ad avere meno rimpianti. Claire e Jamie sono due nonni favolosi, giocano a nascondino, vicino al fiume, con Jemmy. Solo che il pericolo, si sa, è sempre in agguato e si mostra nella sagoma di un cinghiale che carica. Jamie è pronto a colpirlo con il pugnale ma una freccia lo trafigge e seguendo lo sguardo di Jamie Fraser vediamo anche noi un Nativo, arroccato in cima, che ha appena scoccato la freccia. Lui si muove, potrebbe esser chiunque ma il cane che lo precede e si butta lungo il fianco dell’altura mi ha fatto fare un salto. Sapevo che sarebbe tornato, a è stato lo stesso emozionante: Ian, Rollo! E’ stato un giro di cuore, il mio. Mia figlia mi ha fissata e ha sorriso. Sono venti anni che mi sente nominare Outlander e pur non avendolo mai letto lo conosce a memoria. Torniamo agli incontri, quelli che fanno bene al cuore. Pur essendo felice di essere abbracciato dallo zio, Ian non si muove. È diverso, non solo perché sembra un Mohawk in tutto e per tutto, ma perché ha un velo di tristezza che è difficile da non vedere. L’incontro con Bree e Roger non è diverso, c’è un senso di compostezza del tutto nuova in Ian, c’è una esigenza di recuperare da parte di Roger Mac, i due “muti” che si abbracciano, i due chiusi in loro stessi che collidono e si accolgono, mi ha lasciato con un senso di malinconia estrema. Con Roger che parla pur non emettendo suoni, con Ian che lo fissa ma non chiede, pur non capendo. Con Brianna che lo abbraccia, c’è tutta la famiglia che si ritrova nell’abbraccio dei cugini. Mentre nello sguardo di Ian verso la Casa Grande c’è la distanza nel tempo, da quando erano tutti in locanda a Wilmington all’andare con i Nativi fino ad ora. E’ passato molto tempo e in un Mondo così giovane le cose succedono con un ritmo molto serrato. Ian insiste per macellare l’animale che ha ucciso e in questo c’è evidente il richiamo al suo diverso modo di vita e per restare ancora un po’ fuori di casa. Quel “fai come se fossi a casa tua” dello zio lo trova rigido, sofferente e muto. C’è più di qualcosa che non và nel giovane Ian. Ma trattiene dentro di sé le parole che descriverebbero la sua pena e la renderebbero leggera. Perché quando si soffre c’è una distanza tra noi e gli altri ed è la manovra netta che il dolore usa, ci ingabbia e ci trattiene nella immobilità. Aspettando che tutto passi. Dovrebbe funzionare così, solo che la inazione dovuta alla sofferenza blocca anche la ripresa. L’equilibrio non è mai semplice. Non lo è nemmeno per Roger, mentre Marsali si dedica alla divinazione con un mazzo di tarocchi (ho apprezzato l’inserto) il quale si vede restituire dal linguaggio, apparentemente, muto dei tarocchi per ben due volte la figura dell’Appeso. Ora, non vuol dire che qualcuno sarà impiccato. In realtà l’Appeso a volte ha connotazioni “negative”, ma è relativo, dipende sempre dal contesto in cui appare, ma per lo più rappresenta qualcuno che si è sottoposto a quella pratica per raggiungere l’illuminazione, esattamente come fa Odino. Qui diciamo che è usato per dare una scossa a Roger. Anche se mi ha fatto pensare, perché alla fine Roger arriverà alla consapevolezza. Roger rivive i momenti terribili e ci fa vedere ancora. Di sé. Di quel che lui ha visto e non avrebbe voluto, la propria fine. In fondo, però, c’è una immagine che resta sfocata. Mentre Marsali raccoglie le carte, sconvolta come Roger e imbarazzata, ecco che entra Brianna. Prova a riportare da sé l’amatissimo marito, non le importa che lui non abbia la stessa voce di prima ( e possiamo vederci un doppio significato, ovverosia che non sia la medesima persona di prima) perché è ancora lui. Roger piange, in silenzio. Grandissima prova di Richard Rankin, grandissima. Bree rivuole suo marito indietro, l’uomo che ha sposato. Poi perde le staffe e gli ricorda che anche lei si è sentita così, si è sentita morta dentro, dopo lo stupro da parte di Bonnet. Quel grido “Io ho lottato per noi!” mi ha riempito gli occhi di lacrime, adorata Brianna. Nelle parole dolenti di Bree che restano senza risposta spostiamoci alla Casa Grande, di notte. C’è la cena, che sembra quella del Figliol prodigo, anche se Ian non ha disobbedito. L’atmosfera generale è una torta a più strati, gioia, dolcezza, ansia, dolore, tensione, pazienza. Se Fergus e Marsali sembrano non leggere la sofferente reticenza di Ian, a Claire non sfugge nulla ed è lei che dopo l’esitazione del Giovane Ian sull’aiutare Roger a recingere la nuova proprietà, smorza le attese, rimandandole a “Diamogli un po’ di tempo per pensarci.” Non ci deve pensare Roger a suonare, da solo, perché sa farlo, ma cantare…beh, quello no. Però arrivano ancora immagini, il film si fa più corposo, il dolore si agita, sbatte contro le pareti della gabbia, si infila nel sussurro della voce (il suo dono!) di Roger Mac che prova a cantare, ma poi ecco che il dolore sguscia e lo strozza. Diventa la corda, diventa la paura. Diventa il desiderio di morire, davvero, solo per dimenticare di esser vivi dopo aver provato un simile abisso. Chissà quale è il dolore di Ian che fissa il letto, perso nel proprio mondo e al mattino lo zio lo trova che dorme fuori di casa. Jamie, finalmente, con tutto l’amore di padre e di zio mescolati assieme mette fuori quel che ha pensato da subito: Ian è diverso. Le sue domande rimbalzano sulla incapacità di Ian di ammettere la verità, non trova le parole. Quando ci capita qualcosa di enorme la prima e sola ammissione che facciamo è che non ci siano parole adatte per descriverla. E’ un caro non sense. In realtà le parole ci sono, in quasi tutte le lingue del mondo, ma è la nostra incapacità di vederle adattarsi all’emozione che ci blocca e ci porta a pensare che non si possano trovare frasi, parole, espressioni per rendere quanto provato. “Ma ci sono cose che anche voi nascondete agli altri, tu e Claire.” Esclama Ian e ha ragione e ho pensato a questo stesso brano sul libro e mi sono ricordata di tutto quel che dice, ma non vi spoilero nulla. Jamie resta accanto al nipote. A volte, infatti, le parole non “servono”. Si siede accanto a Ian, che intaglia un legno e guarda la vita del Ridge, percependola come estranea e come vicina allo stesso tempo, anche Marsali dopo che la sola persona che abbia toccato Ian nel cuore è alta qualche palmo, Germain Fraser.  Nella enumerazione di quel che ha da fare (due figli all’attivo e il terzo in arrivo e tutto il resto) Marsali tocca più di un tasto dolente ma nemmeno questo fa parlare Ian. Che la ascolta, così come facciamo noi, idealmente seduti con loro. “I bambini ci vengono prestati per breve tempo dal Creatore se siamo fortunati.” Considera Ian e Marsali lo guarda e ci fa sapere di quel che non abbiamo mai vissuto, di quando era invidiosa dei Murray, dell’irruenta Janet Murray, di quanto le manchino madre e sorella. A Ian quale famiglia manca? La sua chiassosa famiglia scozzese o…? Mi piace Lauren Lyle, la sua Marsali è un gran personaggio, pieno di forza. Ed è lei che fa ammettere a Ian che trovarsi bene con questa famiglia non è terribile, ma una bella cosa, nonostante le manchi quella di origine. Roger si prepara a fare il rilevamento della terra assegnata da Tryon e sua moglie gli regala un aereo di carta, ricordando che lui da bambino aveva un aeroplano giocattolo. Perché anche se un aeroplano di carta non può volare, a volte serve moderare le aspettative, piegarsi e rimodellarsi. Brianna fa una incantevole considerazione della vita a due. Che mi sento di sottoscrivere, in qualunque modo la si intenda. Roger e Ian partono per recingere la terra, in un paesaggio verde come le speranze, ampio come i desideri e inesplorato come ognuno di noi. Roger parla a gesti e Ian, che era già intuitivo prima, lo comprende “Non devi ringraziarmi. Ho deciso io di venire.” Per Roger avere accanto qualcuno che non parla è un sollievo, ma lo è anche per Ian, perché ognuno dei due può restare nella propria gabbia. Fingendo che vada tutto come deve andare. Mentre tra uno scambio di astrolabio e un bracciale che non và toccato Ian e Roger si preparano alla notte, Claire chiede a Marsali se lei sappia come mai manchino tre radici di cicuta. Nessuna delle due se lo sa spiegare ma Roger è bravo anche solo con la mimica facciale e Ian con l’intuizione nel definire l’aereo di carta un uccello di carta che può volare ma non canta. E la sua descrizione della vita con i Mohawk ci fa intravedere la solitudine e la diversità che Ian ha vissuto tra quei Nativi. La sua considerazione su quanto sarebbe piacevole possedere lo stesso senso dell’orientamento nel volo e la medesima capacità di affratellamento degli uccelli ci strappa un sorriso. Magari, mi viene da pensare. Purtroppo anche un tempo di quiete come questo riporta Roger nell’angoscia. Si sveglia, è notte, dopo aver ricordato la propria impiccagione, al termine della quale l’immagine mancante prende più corpo. In questo mondo tutti sanno leggere un astrolabio, abbastanza incongruo, ma questo genera una bella scena “Ovunque pensavi di trovarti, siamo entrambi ancora qui.” Che è sia rassicurante che negativo, la condanna è qui, nonostante entrambi vorrebbero diversamente. Claire seduta da capo al letto, con il fuseggiante Adso e Jamie che guarda un libro, ancora con gli stivali, ma mi viene da pensare che siano quelli difficilissimi da levare, affrontano la possibilità che Roger voglia suicidarsi, Claire parla dell’ammanco delle erbe e Jamie comprende, giacché anche lui ha vissuto un momento simile. Vi ricordate quale fosse? Il mattino porta Roger sull’orlo del precipizio, letteralmente, sotto lo sguardo cupo di Ian. Il film dei ricordi di Roger diventa più chiaro, man mano. Da bianco e nero diventa a colori, la consapevolezza dentro Roger cambia, si fa più intensa e forte. Ascoltiamo le voci, anche noi e questo può voler dire che, finalmente, anche Roger le sente, non più come rumore di sottofondo del proprio dolore ma come presa di coscienza. Che sia alla fine della sua vita o meno. Assistiamo alla morte di Roger e, in fondo a questa, non ci sono parole epiche, atti gloriosi. C’è una immagine che, da bianca, diventa nitida, colorata, reale: Brianna. Alla fine della sua vita Roger pensa a Brianna, l’amore di sempre. Si rende conto, splendido quel respiro, come di chi venga al mondo la seconda volta, che tutto quel che lui ama e che vuole, che conta è a portata di mano. E’ sua moglie. E’ lei che gli rende meno amaro il trapasso o più importante il ritorno. Con l’aeroplano di carta volano via tutti i dubbi. Non le difficoltà, ma almeno i dubbi. Anche Ian non ha dubbi, vuole morire. Ha legato Rollo, così che il cane non gli impedisca di portare a termine quanto prefissato e mentre Roger dorme, si prepara. Da solo, nel bosco, mentre in un pentolino bolle qualcosa, Ian sotterra la propria ascia, quel che diceva Roger all’inizio, quel che lui ammetteva di non capire nemmeno come espressione che volesse dire fare pace. Per Ian vuol dire morire, sotterrare la propria arma. È indifeso. Non si tratta di sotterrare solo un’arma ma un intero modo di vivere, una vita fatta e finita. In questa alba verde e cruda, Ian si prepara al proprio addio alla vita. Ma Roger glielo impedisce di forza e Ian lo assale. Perché proprio lui non lo capisce, lui che sembrava volersi buttare di sotto? Lui che ha tutto, una moglie che lo ama, un bambino eppure non vuole stare con loro. Questo rimprovera Ian e aggiunge una domanda fondamentale: quando Roger stava morendo che cosa ha visto nell’oscurità? Per dirlo, Roger deve alzarsi, perché ha ripreso la coscienza di sé e della propria statura, non è più accartocciato e morente, lui vuole vivere. Pertanto si libera di Ian e glielo dice: ho visto il volto di mia moglie. La risposta di Ian ci svela tutto: dunque non c’è scampo? Anche nella morte vedrei il suo volto? La moglie di Ian non è morta ma lui l’ha persa lo stesso. Voleva mettere fine al proprio dolore e avere un po’ di pace. “Nessuno può dire che ne sarebbe della tua anima se ti allontanassi per sempre non solo da lei, ma da tutti quelli che ti amano.” Roger ci dice in una sola frase tutto quel che succede a chi resta dopo che qualcuno che amiamo si è ucciso e con Roger Mac che capisce che deve lottare per ritrovare la propria arma, la voce, e sostenere Ian a fare altrettanto, riportandolo a casa, nel mentre noi ci sciogliamo di sollievo, correndo come Rollo quando i tre tornano dalla spedizione. E’ una bella mattina di sole, ogni nube è andata via e ci sentiamo meglio. Roger parla, finalmente, con sua moglie. Tutti rivogliono il vecchio Roger ma ovviamente lui non potrà più essere quell’uomo. È cambiato e se non è vero che non sarebbe dovuto esistere solo perché quella canaglia del suo antenato ha provato a ucciderlo, non a fermarlo, proprio ad ammazzarlo senza rimorso, Roger è cambiato, sì e non ha avuto ultime parole, ma solo una visione, il viso della moglie, la persona che ama profondamente e canterà per lei, non importa come o dove o quando, lo farà. Perché è riuscito a riappropriarsi del proprio Dono. Quindi di sé. Sentirli cantare insieme nella sigla finale ci apre il cuore.

Non c’è dolore che non si possa ricucire se solo riusciamo a ritrovarci, a ricomporre i nostri pezzi. Nessun dolore. Ma dobbiamo volerlo e il non farlo non ci rende degni di biasimo, ma solamente persi.

Recensione a cura di Cristina Barberis.

3 Risposte a “Recensione Outlander Episodio 508: Famous Last Words”

  1. Devo dire che sto amando tanto anche questa stagione,ognuna a modo suo è particolare è speciale.
    Rivivere l’episodio attraverso il tuo scritto è stato molto emozionante (come sempre del resto) Ora, sono curiosa di sapere cosa sia accaduto al giovane Ian e al suo amore perduto (ho letto poco di Outlander ancora)
    Grazie per questa recensione impeccabile ed eccellente Cristina,soprattutto in questo periodo travagliato e angosciante per tutti noi.
    Laura

  2. Grazie a te Laura <3 di cuore.
    Il Giovane Ian ha una complicata e dolorosa storia che lo ha spinto via dalla sua vita con i Nativi.
    Recensire Outlander è un impegno che ho sempre sentito molto, intimamente, ma in questo periodo è qualcosa che impegna tutte le mie forze.
    Anche a me la 5 Stagione piace moltissimo, del resto La Croce di Fuoco e Vessilli di Guerra sono stati due libri che ho particolarmente apprezzato e amato.

  3. Ma voi che elogiate tanto lord ghon lo sapete che tradirà jemie vero? Lui va a trovare la famiglia di jemie solo e soltanto x interesse personale verso jemie ma secondo me gli va bene anche claie basta destabilizzare la famiglia fraiser , ci ha già provato una volta in sangue del mio sangue quando guardando williams jemie ha un nodo di malinconia e lord jhon lo mette a confronto con claire maliziosamente ma jemie nutre x claire innamorerà assoluto e non vacilla ma resta il fatto che lord ghon abbia provato a destabilizzare l’amore x claire!

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