Recensione Outlander Episodio 512: Never My Love

La vita è un sogno, nient’altro che un sogno. Il sogno di un sogno. (Miranda, Picnic at Hanging Rock)

Siamo all’ultimo episodio di stagione. Come ogni finale, anche questo è slegato e scorporato dagli altri, non per lunghezza, ma per struttura. Sediamoci, prendiamo fiato e concentriamoci, non sarà facile né per voi né per me. Le immagini si aprono sul riassunto, ma senza nessun dialogo, sono solo frammenti, come potrebbero esserlo per qualcuno che ricorda, il suono in crescendo di percussioni e di archi ci conduce al rapimento di Claire. Poi, di colpo, un cambio, belle mani smaltate posizionano un 33 giri (o LP) di vinile su un giradischi (lo chiamavamo piatto, quando ero piccola). Le mani sono immediatamente riconoscibili per via della doppia fede sugli anulari. Si tratta di Claire. Inizia la musica (Never My Love degli The Association, 1967 ha un bellissimo testo, cercatelo, perfetto per l’episodio) e la scena di apre su una casa illuminata, un ambiente che a colpo d’occhio classifichiamo verso la metà degli anni Sessanta del Novecento. Guardatela bene, non è scelta a caso, come nulla in questa serie tv, di ogni stagione. Ha ampie vetrate, che fanno cadere tanta luce, i mobili sono di pregio, il pavimento è di legno, gli ambienti comunicano tra loro attraverso un solo corridoio che la attraversa di lato. È incantevole. Passiamo da un ambiente con scrivania, macchina da scrivere e microscopio (di chi sarà?) ad un bel salotto, c’è una donna seduta sul divano, di spalle, guarda un dipinto. La luce cade morbida su di lei e sugli oggetti, su un’arancia che sembra sbucare da un quadro di Caravaggio. Luci e ombre. C’è un mobile che ospita bicchieri da vino e da liquore e un magnifico vaso di porcellana bianca e blu con la scena di un mulino e di un fiume. La donna sul divano è Claire, vestita di rosso. Scelta cromatica ovviamente perfetta, per due ordini di motivi, che dirò a breve. È una Claire cui non siamo abituati, immersa nella pace della contemplazione. Attorno a lei il salotto, con i suoi mobili squadrati si affaccia su un prato e oltre un bosco. Claire rimira un quadro che rappresenta una casa. A quale vi fa pensare? Ed ecco che precipitiamo nel buio e, quasi, nella realtà. No, Claire non è tornata indietro nel tempo, non ha varcato le Pietre. È lì, giace legata e piena di lividi e di sangue, nel buio. Passiamo dall’arancio dorato rassicurante del salotto al verde muschio, al grigio, al nero della notte, così reale che potremmo annusare l’odore dell’erba. O quello del sangue su Claire.  Ascoltiamo il suo respiro. Guardiamo il suo viso, le lacrime, il sangue e, come se qualcuno girasse un interruttore, siamo di nuovo nella casa. C’è una tavola apparecchiata, molti posti, arriva qualcuno in giacca di pelle, che slaccia, Claire si gira, rosso l’abito, rossi i capelli che si tingono di sole, diretto ma non felice lo sguardo, da sopra la spalla. Uno sguardo che chiede, come qualcuno la cui quiete è stata disturbata. La figura sullo sfondo è alta, capelli rossi, dallo sfocato diventa nitido, Jamie, capelli corti, camicia, pantaloni. Osserva Claire. Che vediamo di nuovo nel buio. Ha una corda che la stringe sul collo, un bavaglio che sembra uno strumento di tortura, che schiaccia la lingua, una specie di mordacchia di tela. Sentiamo la musica e, poi, ecco che saltiamo indietro. Al momento dell’arrivo lì. Ci troviamo nella mente di Claire. Ci staremo per buona parte dell’episodio. È il solo modo per capire l’orrore, se mai si possa, una trovata che reputo geniale. La narrazione di quanto successo dal punto di vista di lei, siamo seduti lì, tra le sue sinapsi, nel suo cuore ferito. Claire è colpita da Lionel Brown. L’immagine si sfoca. Non vuole ricordare. Ed eccola, geme, si lamenta, guarda sopra di sé, rami nel buio, verde e blu notte, le voci, che le rimbombano nella testa, le immagini di Hodgepile che suggerisce di ucciderla, lasciandola alle bestie, perché Fraser sarà impegnato per un po’. Quindi qui siamo al principio del tutto, quando lei è stata rapita e Jamie e i suoi sono impegnati con la distilleria e di nuovo Claire, che piange, al presente, mentre altri ricordi si affollano, il rumore dell’esplosione della distilleria, lei che li accusa, siete stati voi, quell’orribile persona di Lionel che glielo conferma, ebbene siete davvero perspicace dottor Rawlings. Così sappiamo perché l’hanno rapita. In realtà sul libro non và così, ma oramai mi sono arresa. Lionel Brown l’ha portata via perché vuole vendicarsi dell’articolo citato proprio dalla moglie di Brown, sul non giacere col marito in un certo periodo del ciclo per non restare incinta. Ed ecco che la voce si spegne, Claire, legata, che ricorda ancora, come se non potesse farne a meno. C’è un meccanismo che scatta nella testa di qualunque vittima ed è la propria colpevolizzazione, se mi è successa questa cosa devo aver commesso chissà che, è colpa mia. Perché il male che si subisce è così forte e ingiusto (và da sé che il male non sia mai giusto) che diventa inaccettabile la sola idea, non solo il dolore fisico, ma anche quello psichico, quello emotivo, sono insostenibili. La mente si colpevolizza e cerca di capire. Tutti noi siamo stati allevati con un sistema dicotomico, se non è giusto è sbagliato, chi non è con me è contro di me disse Gesù oppure se segui le regole sei nel giusto, se non le segui sprofondi nel peccato o nella cattiveria o in un qualunque inferno che si possa creare. Al di là di circostanze, attenuanti, storia personale. Il pensiero dicotomico è come una mannaia, o così o il suo contrario. Quindi la colpevolizzazione è quasi istintiva, in più c’è proprio il meccanismo che si attiva nel momento in cui soffriamo, quello che ci fa cercare il capro espiatorio o, se vogliamo, la scintilla che ha appiccato l’incendio, una volta trovata, si può concentrare la propria attenzione, rabbia o dolore e, finalmente, scusarsi, cercare alibi, cercare sollievo. Lionel Brown fa la sua invettiva, da uomo del suo tempo e, più, da uomo crudele, perché sarebbe bastato denunciarla o screditarla sul giornale. Ma lui no. E’ un violento. Spara alle spalle del ragazzo amato dalla figlia perché gli ha fatto saltare un buon affare. Picchia sua moglie. Una perla di bontà. Intende portare Claire a Brownsville dove lei dovrà confessare di essere il famigerato dottore. Ed ecco che da quella scena la musica ci riporta al dipinto, nel salotto della casa al sole, in pace. La casa dipinta è in luce, tranne che alle spalle, dove una colonna di colore scuro la sovrasta. Che sia un bosco? Nel qual caso quello è il Ridge. Di nuovo la musica e il suono di un campanello. Claire si gira, c’è un bambino che ride, sollevato da qualcuno, Jamie sulla porta di ingresso che riceve Ian, vestito con una divisa, sorridente, che abbraccia lo zio. È il giorno del Ringraziamento, quello che per ogni statunitense che si rispetti, è il giorno della famiglia e con la famiglia. La luce sparisce e noi corriamo con Claire, siamo di nuovo a quanto accaduto, tenta la fuga ma due la atterrano, la vediamo legata, buio, notte. Nessun oggetto di scena, niente, solo lei. Perché è in lei che siamo. La guardiamo come se fossimo in un sogno, anche noi. Tuttavia, come spesso accade nei sogni, la vediamo su due piani diversi. L’accaduto e il presente. Quando viene catturata, di nuovo, senza nessun motivo Hodgepile la ferisce sul seno, con una lama, noi sentiamo il rumore del pugnale, quello della ferita, l’urlo di Claire. Che è lì, nel buio, legata, piange, ricorda. Ricorda di essersi ribellata, di aver insultato. Vi prego di guardare una parte degli uomini dietro di lei, l’indiano, il nero, che si chiama Tebbe, altri, a capo chino o con espressioni se non di pietà, sicuramente non di approvazione. Ed è Tebbe che quel “andrete all’inferno” di Claire lo muta in un avvertimento di maledizione, del resto, la nostra si porta dietro una fama di strega niente male dai tempi della Dame Blanche e se quella non ha varcato l’oceano, essere una guaritrice nel 1772 non vi dà esattamente l’aura di Florence Nightingale. Esorta Hodgepile di non toccare Claire e di non versare il suo sangue perché è una “Conjure woman”, letteralmente una evocatrice, una “fattucchiera” ma, di più, qualcuna che risiede nel folclore afro americano. Ovviamente Claire è quella leonessa di sempre e prende al volo le parole di Tebbe, se la toccheranno di nuovo moriranno prima dell’alba. Diciamo che come profetessa avrebbe un futuro. Colpisce Hodgepile con uno schiaffo insanguinato, il proprio sangue, astuta mossa per maledire e quando il venduto fante dell’esercito tenta di colpirla, Tebbe lo ferma. Perché teme di morire. La soluzione la trova Brown che la fa legare lontana dal campo. Claire si lamenta e noi sentiamo un’altra voce, è l’indiano, che le chiede da dove provenga, la domanda non è a caso e se Claire non fosse in quello stato lo capirebbe. Lui rincara “Dove abitavate prima di venire qua?” Non ci suonano qualche migliaio di campanelli? Lui la lega e le parla di cieli stellati e di Luna e soprattutto “dell’uomo sulla luna che li guarda dall’alto” ed ecco che i campanelli tacciono: quell’uomo proviene dal futuro. È notte, gli uomini di Brown sono attorno al fuoco, che ne illumina qualcuno mentre il resto della scena è immerso nel buio verde degli alberi, bevono e ridono e qualcuno nota ridendo che Claire non ha le gambe legate. Lei tenta di muoversi, ma non riesce, il suo dolore e la sua impotenza la lasciano lì, piangente. Il disco torna a suonare, vediamo il salotto nel buio della notte, Claire da dietro il vetro che sfoca l’immagine nell’acqua. Piove. All’interno Jamie la avvolge con una coperta, ma noi li vediamo attraverso l’acqua, c’è un muro che ci divide da loro, da quell’abbraccio caldo come una coperta, appunto, da quel momento sereno “Tremi così tanto che mi stai facendo battere i denti”. Lei sorride, appena. Lui la cinge. Quando soffriamo, a volte, la nostra mente cerca scappatoie, che lo vogliamo, quindi per scelta, oppure no. Di fronte ad un trauma ci dissociamo. È un meccanismo per il quale “c’è un’assenza di connessione nel pensiero, nella memoria e nel senso di identità di una persona.” Ricordo mia nonna, era caduta e si era rotta il femore, come succede alle persone anziane e il trauma dell’operazione, condotta localmente, quindi non anestetizzandola del tutto, le aveva provocato una dissociazione. Credeva di essere giovane, cercava madre e fratelli e trattava mia madre come sua sorella. Mi ricordo lo sgomento di mamma e la rassicurazione del dottore sul fatto che sarebbe passato. Dal calore dell’abbraccio di Jamie passiamo a Claire, sdraiata sulla terra, legata per il collo, legate le mani e imbavagliata. Già picchiata e minacciata. La situazione è terribile già di suo. Senza che ci si aggiunga altro. Al presente Claire ricorda, si trova sul carro, la portano a Brownsville e l’unico gentile è Tebbe, che le porge del pane e la prega di ricordare che ha cercato di aiutarla, le chiede di dire ai suoi spiriti di non fargli del male. Arriveranno dopo due giorni dal guardo del fiume, che vediamo dall’alto, immagine splendida, con gli alberi sulla destra, con la carovana dei rapitori che ci passa e il fiume sulla sinistra. Silenzio, rumore del fiume, del bosco. Faranno attraversare i cavalli a nuoto, Claire tenta di portare dalla sua parte Tebbe, appena scesa dal carro, gli promette che se lui la lascerà andare il Kelpie (uno spirito che infesta laghi e fiumi nella tradizione celtica, a forma di cavallo ed è per quello che Claire parla di cavallo d’acqua) la porterà via e non nuocerà a Tebbe, mentre gli altri moriranno tutti. Ovviamente Hodgepile esce come il fungo velenoso e strattona Claire perché vuol portarla lui mentre Tebbe si oppone. È notte, al presente. Claire è rannicchiata in posizione quasi fetale. Collo legato e diversi giri di corda attorno al tronco di un albero, mani serrate in avanti, imbavagliata, giace di fianco. Ed eccoci, Germaine viene sollevato da Murtagh, bellissimo in giacca senape e dolcevita bianco, con Jocasta, splendida in cardigan verde e abito fiorato, sono una coppia, lo vediamo dal bacio e poi saltiamo alla cena (che meraviglia tutti loro anni Sessanta, davvero…Ho pensato ad uno scenario plausibile, ad un Outlander versione moderna e credo che sarebbe stato parecchio bello) in un lampo, Marsali e Fergus (magnifica Lauren Lyle vestita e truccata in quel modo) e poi, eccoci, precipitiamo nei ricordi di Claire, che strattonata dagli uomini di Brown esclama quel Jesus H. Roosevelt Christ. Non vuol dire nulla per nessuno, se non per uno, quello che le ha parlato dell’uomo sulla Luna ha il lampo di riconoscimento negli occhi. Cuddy, nipote di Lionel, teme che lei li abbia maledetti di nuovo, del resto c’è il nome di Gesù in quella esclamazione e così Brown decide di imbavagliarla. Claire torna cosciente (o no?) e qualcuno nella casa illuminata dal sole fa volare qualcosa di simile ad una libellula o forse è un piccolo aeroplano di metallo, lei è avvolta dalla coperta e dall’abbraccio di Jamie, ma poi precipita nel buio. La vediamo con le gambe non legate, l’abito semi sollevato. Non è un buon segno e balziamo dalla casa all’accaduto, Claire che, legata e imbavagliata, fissa in modo sfrontato Brown, il quale la colpisce con un pugno e la porta vicino l’albero, ovviamente sotto lo sguardo cattivo di Claire per tutto il tragitto. Le lega un cappio intorno al collo. C’è forse, in questo, una crudeltà diversa? Forse sì, perché se lei tenta di scappare si ucciderà. Mentre Claire piange, la sua mente ci porta di nuovo alla cena. Jocasta sta parlando (Ma James è molto meglio…) e tutti la guardano, Murtagh con affettuoso interesse, Fergus e Marsali pendono da lei, Ian, che mangia, la osserva un po’ di sbieco, Claire si siede, sorride, come una Monna Lisa, è un sorriso distaccato il suo. Parlano del bambino che porta in grembo Marsali, del nome, Ian suggerisce il proprio e Marsali replica che si orientano su un nome più moderno, come Ringo. Se fosse una bambina la chiamerebbero Jo, diminutivo di Jocasta. Guardiamo Claire che osserva la sua bella famiglia a tavola, con Jamie che guarda dritto in camera e, quindi, dritto negli occhi della moglie. Che precipita, e noi con lei, nel buio. Vede una lepre, che la fissa e va via. Mi ha fatto pensare a Jamie a Culloden. Infreddolita, affamata, picchiata e legata, Claire si lamenta, tossisce, cerca aria, ha il naso col sangue rappreso, la bocca imbavagliata, deve essere in debito di ossigeno oltre al dolore che gliene leva un bel po’. Mentre ha uno spasmo arriva l’uomo del futuro. Non lo sente subito, è ancora in un’altra dimensione e, ad ogni modo, la mancanza di aria porta allo svenimento e ai suoni che giungono diversi. “Il nome Ringo Starr vi dice qualcosa?” sì. E’ un batterista. Effettivamente sì, lui proviene dal futuro. Aveva speculato su di lei, i consigli del dottor Rawlings non potevano provenire dal diciottesimo secolo. Non pensava di incontrare un altro Viaggiatore. Claire lo supplica di slegarla, ma lui rifiuta. Lei obietta che lui sappia che cosa vogliono farle e, a quel punto, ne saremmo state certe tutte, ma il Viaggiatore minimizza, la credono una strega, sono solo chiacchiere, sono spaventati. Si chiama Weindigo Donner, è arrivato dal 1968 (doveva esserci un bel traffico quell’anno nei vari mondi) il nostro viaggiatore, è giunto con un gruppo di Nativi. Lei nomina Dente di Lontra, Robert Springer, alla domanda di Wendigo, Claire rivela che è stato ucciso dai Mohawk. Prova inutilmente a chiedergli aiuto, slegarla e scappare con due cavalli, ma Wendigo ha paura di Lionel, è pazzo, li ucciderebbe e lui vuole solo tornare a casa, ci sta provando da tanto tempo, ha bisogno di gemme. Claire ha le gemme, sa dove siano le pietre, possono fuggire senza cavalli, se lui la libera, lo porterà alle Pietre. Wendigo accetta, quando saranno tutti addormentati. Lionel lo richiama, lui inventa una scusa. Claire implora, ancora. Ma lui tentenna, avrebbe dovuto capirlo chi fosse davvero Claire, prima il dottor Rawlings, poi quella esclamazione, il fatto, evidente, che lei non ha paura degli uomini. “Non siete impaurita dagli uomini, la maggior parte delle donne di adesso lo sono. Dovete fingervi più impaurita.” Che bel consiglio vero? Come se questo evitasse botte o violenze. E le rimette il bavaglio. Le dice le stesse cose sul libro e tenta lo stesso di esserle amico, ma, in tutti e due i casi, le evita solo la propria violenza. Ma non la aiuta. Mors tua vita mea. Claire non può che tornare al calore dell’abbraccio di Jamie, mentre Brown si avvicina dall’esterno. Purtroppo è anche più da presso di così, ha portato il nipote lì, per farlo “divertire”. In fondo, per una donna essere violentata è un passatempo no? Ed è la stessa identica mentalità dello stupratore di oggi che, quando sei lì gelata dall’orrore e dal dolore e non gridi, rinfaccia che te la sei goduta ed eri connivente, consenziente. Non c’è nessuna differenza. Dai tentativi di Cuddy passiamo a Germaine e Murtagh e Jocasta che giocano, con dei cuscini, una lotta, ai due Fraser, lui che cinge lei. Lei al sicuro. La mente che si rifugia altrove, l’atrocità deve essere arginata. Sul libro c’è una sfilata di visi, di odori, di modi diversi di stuprarla. Ammetto che leggerlo mi è costato sangue. Vederlo non ha migliorato nulla. Mentre Cuddy finisce, notiamo gli occhi di lei, come vagano qui e lì, rapidamente, come se cercasse di fuggire. Cuddy scappa e Lionel lo irride e aggiunge lo scherno alla violenza, la picchia, le rimprovera che Cuddy non sia stato all’altezza perché lei finge di essere un uomo. La colpa è della donna, non dello stupratore. Eri tanto bella. Avevi la minigonna. Ti sei truccata. Hai scherzato, hai accettato la birra, hai accettato di uscire ecc…Niente, niente di tutto questo o delle mille altre menzogne giustifica e autorizza una violenza carnale. Tra un colpo e l’altro, nella mente di Claire compare Marsali con Germaine, la manina di Germaine che regge una libellula, il bambino che gioca con Murtagh e Claire al sicuro tra le braccia di Jamie. Una coperta, perché lei ha freddo nella realtà, perché è il gesto più protettivo che esista dopo l’abbraccio. E lui le dona entrambi. E poi la violenza di gruppo, mentre la mente si fissa sul vaso, non è bello? Lo guarda, con l’espressione dolce, quasi soddisfatta. Jamie che annuncia che la tavola è pronta, ha controllato il tacchino che ogni anno è più grande, segno che le persone aumentano di numero. La Claire in rosso non guarda Jamie, ma una perdita di acqua sul soffitto. Perché è vestita di rosso, le sue unghie e le scarpe lo sono? Forse perché è il colore del sangue. Del dolore, della violenza. Quando nella pirateria del diciottesimo secolo si andava all’assalto e non si facevano prigionieri si issavano bandiere rosse. Il rosso è un segnale di pericolo, tutti i cartelli che lo indicano lo sono, inoltre ha un impatto molto forte sulla mente umana. Ma è anche il colore del coraggio, del cuore, letteralmente, il cuoricino che disegniamo è sempre rosso. È il colore della protezione, chi lo indossa esprime una volontà ferma, non ha paura, non teme di esporsi, del resto per secoli è stato il colore delle cortigiane e delle prostitute, le sole che potessero indossarlo. Un colore vistoso. Quindi nella mentalità comune qualcuno che veste di rosso lo classifichiamo ancora come un esibizionista. Per anni ho desiderato indossarlo, poi, dopo il sisma, me ne sono letteralmente coperta. Ancora oggi a undici anni di distanza porto sempre con me qualcosa di rosso. Chiunque mi fa regali, mi dona oggetti che nel novanta per cento dei casi sono rossi. È il mio colore preferito, anche se adesso indosso anche altro. È un colore che scherma e che protegge, un modo per dire: non ti temo. Giudicami, non mi importa. Dalla perdita passiamo alla manina di Germaine, effettivamente sì, una libellula. Dragonfly in Amber. Ian arriva, chiede di Bree e Roger. Guardiamo i suoi capelli e quella toppa sulla spalla sinistra: è un Mohawk. La mente associa simboli e immagini, nei sogni. Geniale questa sottigliezza da parte di chi ha scritto l’episodio. I McKenzie arriveranno, hanno sicuramente incontrato traffico lo rassicura Jamie, il quale, a tavola, ringrazia tutti per essere lì, rende grazie per la sua splendida moglie (che nota le due sedie vuote e le fissa come se non capisse perché mai siano assenti le persone) sangue del suo sangue e ossa delle sue ossa. Gli occhi verdi di Claire saltano ancora alla perdita di acqua. Jamie si alza, le espressioni di tutti sono partecipi, affettuose: il mio cuore ti appartiene dalla prima volta che ti ho visto. Hai custodito la mia anima tra le mani e l’hai tenuta al sicuro. Claire sorride, ma non è un vero sorriso, non è soprattutto Claire. È una proiezione che vorrebbe essere piena di gioia e di pace. L’immagine di lei, in rosso, contro l’oro della parete, come una icona russa, che trasmette un senso di atemporalità è perfetta. Ma i colori virano sul cupo, diventa tutto meno solare, meno piacevole, ad un lato della tavola c’è Lionel Brown, vestito come sempre, l’intrusione selvaggia della realtà nel mondo che la mente ha costruito per difendersi. L’ha appena stuprata. E invita, incita gli altri a “farsi un giro con la puttana”. Perché una donna onesta non farebbe la guaritrice e non direbbe alle altre come stare attente a non rimanere incinte. Fate caso che tra gli insulti che si rivolgono più spesso ad una donna la quasi totalità è di matrice sessista e maschilista, puttana è il preferito, top ten, in ogni declinazione volgare che possiate conoscere. Perché? Perché deriva dall’accusa alla donna di poter scegliere il proprio partner in totale libertà e quando i Leviti cinquemila anni fa scesero come cavallette nelle terre di Caanan (con il beneplacito di Javhé degli Eserciti il Distruttore) e decisero che per avere tutto, terre e donne, donne che ereditavano e gestivano i propri beni, dovessero sottometterle e renderle incapaci giuridicamente di badare a sé senza l’intervento di un uomo, inventarono il concetto di promiscuità sessuale, di amoralità della donna che decide per sé di sé e di totale assenza di un minimo di criterio e di bontà in lei. La definirono amorale, immorale e soggetta, per il suo bene, all’uomo. È cambiato qualcosa da allora? Per questo una ragazza che si trucca come vuole o che indossa quel che vuole, che studia o che fa lavori “maschili” o che non soddisfa i canoni retrivi della società in cui siamo è automaticamente una puttana. A prescindere. Se non cambiamo questa cultura di sopraffazione, non se ne uscirà mai. Germaine corre felice, il bellissimo blu del divano della stanza studio di Claire, le piante, la libreria, niente è lasciato indietro. La casa è quella di persone abbienti, sì, ma anche con un gusto spiccato per l’arte. Il bambino è preso in braccio da Murtagh, Claire accoglie Fergus e Marsali, con la bambina, sono appena arrivati al pranzo. Lauren Lyle bionda e in giallo è bellissima. Ian che augura un felice Ringraziamento alla “zietta”. E poi ancora immagini di convivialità e Marsali che parla di Jemmy ed eccoli di nuovo a tavola, con le due sedie vuote. Jamie in piedi, davanti la moglie, Roger e Bree arriveranno subito. Lei che vorrebbe crederci, la libellula, qualcuno suona alla porta, Claire và ad aprire, percorre tutto il corridoio e fuori è notte: due poliziotti, coi volti di Lionel Brown e di Hodgepile le annunciano che i McKenzie sono morti in un incidente stradale. Mentre lo dice, come se nulla fosse, partecipazione emotiva pari a un girino morto ma del resto sono due stupratori, che emotività possono vantare? Mentre il poliziotto annuncia la tragedia, Claire sa che figlia e genero e nipote sono in viaggio, verso il futuro, vediamo lei che arretra, come risucchiata dal dolore, le parole del poliziotto si perdono, la famiglia è lì, ma lei non li percepisce. Non divide il dolore. Anche l’ultimo rifugio della mente di Claire è stato violato dalla ferocia della realtà. Che le si presenta come la perdita massima, quella della figlia, dal momento che la propria sofferenza non è possibile narrarla, così la devastazione che prova deve essere provocata da altro. Da una tragedia. Silenzio, buio, vento. Foglie autunnali, marroni e dorate. Roger, Brianna e Jemmy si svegliano, pensando di essere saltati nel futuro e invece…No. Ian li guarda con sollievo, loro con perplessità. Come sono tornati, perché? Perché tutti e due pensavano alla casa. Già. Si sono concentrati sul ritorno a casa. Dove li conduce Ian col carro, al tramonto. Annotta mentre tornano, la musica è quella di sempre, siamo nella “realtà” dell’autunno del 1772. La Luna si fa vedere dietro le nuvole. Giunti in prossimità delle terre dei Fraser decidono di accamparsi per la notte ( e badate che tutto è successo subito, quindi mi sono un po’ persa, se ci hanno impiegato due settimane per arrivare al Cerchio di Pietre, come riescono a tornare indietro in minor tempo?) ma quando Brianna vede la Croce di Fuoco, tornano immediatamente. Al Ridge intanto Jamie Fraser và a riprendersi la moglie. Uno sguardo di intesa con Fergus, incrociato da Lizzie che lo ragguaglia sull’aver preparato della carne salata per lui e per gli uomini, esce allo scoperto, vestito come un capo clan, come quello Scozzese che è. Sta andando in guerra e non lo farebbe mai con altri abiti. Perché, per una volta, l’abito fa il monaco. Il Laird, nel caso. Sopraggiungono, in quel momento, i McKenzie, per la gioia di Lizzie. Dopo le spiegazioni e l’ordine di Jamie a sua figlia di restare a casa, Josiah si offre come buon tiratore. Non è una guerra ma lo fa per Claire. Verrà anche Roger, perché al Falò Jamie lo ha chiamato (Stai al mio fianco, figlio della mia casa) e perché ci sono tempi per uomini di pace e tempi per uomini di sangue. Sarà al fianco di Jamie. E vedere il Rosso così imponente, rispetto agli altri due mi fa tenerezza, ma il casting è stato ottimo, a prescindere dalle altezze che sarebbero dovute essere tutte e tre uguali. È un’alba grigia, verde, con toni bluastri. La preparazione è splendida, molto di impatto: Ian si rade la testa, si tinge il viso, colori di guerra e, guarda il caso, si tratta di rosso. C’è anche John Quincy Myers. Che resta il mio mountain men preferito di tutti i tempi, beh a parte Robert Redford in Jeremiah Johnson (Corvo Rosso non avrai il mio scalpo) anche se siamo un secolo dopo. Di nuovo dissolvenza in nero, silenzio. Siamo di nuovo nella bellissima casa assolata, il cui cromatismo vira tutto sulla luce, sul sole, sulla bellezza di una giornata limpida e calda, sulle varie gradazioni di colore dei mobili. È un set magnifico. Claire è seduta sul divano, arriva Jamie. Si sfila la giacca, lei lo guarda e lui la abbraccia, sono in piedi, ballano. Lui la tiene al caldo, la bacia. Nella notte reale, le immagini sono sottosopra. Come le vedrebbe una persona sdraiata sul fianco. È arrivato Jamie. Coi suoi, che attaccano gli uomini di Brown, ma a Claire sembrano lontani. Dopo la violenza di gruppo, si sta lasciando andare. Quanto può resistere una persona senza bere, mangiare, ferita, picchiata, stuprata, al freddo? Splendide le immagini dell’attacco, semi rovesciate, di un caldo colore dorato nel nero della notte. È un massacro. Ian, guerriero che combatte come un Mohawk, Fergus, Myers, Jamie che chiama Claire, mentre gli altri uccidono con rapidità e ferocia. Persino Roger. Uccide il suo primo uomo. Jamie si fa largo a colpi di pistola e di spada. Le detonazioni e le voci rimandano Claire nel caldo abbraccio della casa nella sua mente. Jamie la raggiunge, le tocca il mento e lei si scioglie, il sollievo è palese. Non temere. Siamo solo noi due adesso. In casa c’è quasi buio, ma le luci rendono giustizia al sorriso di Jamie, al rosso dell’abito di Claire, al marrone dorato dei mobili. Scena intima, non c’è nessun altro. Solo loro due. Sta per baciarla, quando le arriva, dalla realtà, la voce di Jamie che la chiama e la tiene sveglia, per guardare quel gigante rosso in kilt che si avvicina. Sullo sfondo c’è rossore di fiamme, molto ben reso, sembra una guerra, vero? Jamie che la trova così, l’epitome dello sgomento, capisce subito che cosa sia accaduto? Credo di sì. La libera. Trattiene in gola il pianto nel vedere sua moglie livida, ferita. La prima cosa? Sei viva. Sei tutta intera, mo nighean donn? (Mia ragazza dai capelli bruni, qualcosa che a Jamie è sempre piaciuto, il colore dei capelli di Claire). Lei non può rispondere, lo guarda con un occhio solo, l’altro è pesto. Scendono Ian, Fergus, John Quincy Myers. L’espressione attonita sul viso di Ian basterebbe per rendere tutto l’orrore di questo episodio. Dietro di loro rosseggia il fuoco, la scena sembra illuminata dalla ferocia. Eccola qui, la famiglia, quella che Claire ha tenuto con sé per tutto il tempo. I suoi sono accorsi per salvarla. Myers annuncia che alcuni di loro sono ancora vivi. “Volete vendicarvi signora?” le porge il pugnale. Ma Jamie spiega un aspetto fondamentale della vita di Claire: ha fatto un giuramento. Non può uccidere se non per salvarsi la vita. Sono io che uccido per lei (magnifico, ero tutta elettrizzata, perché questo vuol dire assumersi l’onere e l’onore di amare, nel bene e nel male, davvero) e se non bastasse Ian aggiunge “Anche io” e Fergus “Anche io milady”. E io con le lacrime, sconvolta dopo oltre venti minuti di puro orrore, disegnato con mano più leggera che fosse possibile, diluito e alleggerito grazie alla seconda narrazione. Chi? Quanti? La richiesta di Jamie è per capire chi deve essere ancora bersaglio della sua vendetta. Ma Claire non lo sa. A Ian, Fergus e John che pendono dalle sue labbra quel deciso “Kill them all!” e tra quelli messi in ginocchio notiamo Tebbe. Per lui mi dispiace. Non c’è Wendigo, mentre Josiah trattiene l’unico altro ragazzo, Cuddy. La luce viene dalle spalle, oro rosso, mentre sul davanti c’è oscurità. Tutto quello che doveva succedere è successo. Non c’è altra via. Non c’è scampo. Le tenebre, adesso, ingoieranno tutti. Perché presto o tardi la Vita ci fa scegliere e, spesso, vivere non è altro che affrontare le conseguenze delle nostre scelte. Colpi di pistola, di lama. Urla. Jamie resta con sua moglie, che non lo guarda, che fissa un punto altrove. Ian porta la notizia, è fatta. Tutti uccisi. La musica ci dà un tono diverso. Cambia, del tutto, si riappropria della scena, ai fuochi ci sono solo gli uomini di Jamie. Lui, invece, con tutta la delicatezza del mondo, offre alla moglie il calore del proprio tartan e la solleva, portandola in braccio. Fino al luogo dove sono disposti i corpi senza vita dei suoi rapitori e stupratori. La pone in piedi, che lei veda. Sono morti. E nel silenzio di tutti, col fuoco che fa da sottofondo, lei li osserva. Impietrita, disgustata. Non sono tutti morti. Ridotto malissimo c’è ancora Lionel Brown in vita. Josiah è pronto a sparare ma Roger lo ferma: Jamie avrà delle domande, gliele porrà adesso o lo porteranno con loro? Per quanto il desiderio di finirlo alberghi nel Rosso, decide di portare Claire al Ridge. Brown sarà portato da Roger e da Myers. Il mattino non è mai stato così bello. Boschi e fiume e Claire, in piedi, sotto lo sguardo del marito, del quale porta ancora addosso il tartan, che chiede di Marsali, con un accenno di pianto, tenerissima, perché l’ha vista cadere inerte. Notate che non guarda il marito, tiene lo sguardo basso e discosto, c’è in questo atteggiamento tutto il dolore di chi non sa ancora relazionarsi con la brutalità di quello che le è successo. Gli chiede se c’era un indiano tra loro, era come lei, veniva dal futuro (grandissima prova di Caitriona Balfe, che morde le parole e le butta fuori con fatica, traumatizzata. Grandissima prova se non la premiano non capiscono nulla di recitazione!) non le ha fatto del male ma non l’ha aiutata e questo è, ovviamente, come farle del male. Non ha avuto una visione, ha davvero visto Roger, sono tornati a casa e mentre la musica cresce e la mano di Jamie le si posa con dolcezza sulla spalla, lei sembra smarrita dalla notizia, sul punto di piangere. No, non sono morti e non sono nemmeno lontani. Quel viso straziato è insopportabile da guardare. Il dolore è lancinante e lo sguardo perso, nel quale si leggono i pensieri, lo rende ancora più devastato e devastante. Fino ad una delle più belle immagini di tutto l’episodio, il placido fiume che scorre vicino al Ridge, la Casa Grande e Bree che si affaccia. E’ tutto a posto. Una parte di mondo è ancora lì. Si può tornare a respirare. Jamie aiuta Claire a scendere, ci sono anche Ian, Roger e Fergus. Il respiro di Bree accelera; nelle carezze, nell’abbraccio e nei loro sguardi c’è tanto di quell’amore che ci sentiamo consolati. “Pensavo che non ti avrei vista mai più” è bellissimo, l’unica cosa che le ha fatto davvero male è la possibilità di perdere sua figlia. Adesso si rende conto che è lì. “Mamma sono a casa” è rassicurante, come l’abbraccio di Brianna ma mette Claire davanti alla tragedia: se Bree e Roger e Jemmy sono lì e stanno bene, allora lei deve necessariamente affrontare quello che le è successo. Il dolore deve prendere il proprio peso e il proprio nome e nessuno può farlo al suo posto, ma è Claire che ha il compito di narrarsi e narrare. A suo tempo. Commovente anche l’incontro con Marsali, pesta e incinta. Teniamo a mente lo sguardo della ragazza, ci servirà tra poco. Nel chiuso e al sicuro, Brianna aiuta Claire a lavarsi. C’è un gesto, in quel momento, che rende in maniera esemplare la condizione di tutte le persone stuprate: lo spazzolino per le unghie che Claire usa compulsivamente per pulire la fede di Jamie.  Il sentirsi sporche, sporcate, annientate, qualcuno che è entrato dentro il nostro corpo, con la violenza, lasciandoci prive di difesa, una intromissione feroce che distrugge non solo il corpo ma anche l’anima e se pensiamo che di solito la vittima è messa alla gogna nella società, in quelle condizioni, capiamo perché molte rinunciano, anche a fronte di processi farsa in cui le parti giudicanti sono di un maschilismo becero, molte rinunciano a denunciare. Tutto lo stupro e il post sul libro, che occupa diversi capitoli e il lavoro egregio che è stato reso qui spero che servano, in un modo qualunque, per rendere finalmente giustizia alle vittime. Non ai carnefici. Più di quel che ha fatto, Bree non può, ma sulla porta, col pianto negli occhi ricorda a sua madre che può chiederle aiuto, confidarsi con lei, se ne ha bisogno. Un ribaltamento di ruoli di estremo conforto, anche per il fatto che Brianna sa che cosa si provi. Claire posa le dita sul proprio viso, un riconoscersi, anche con lividi e gonfiori. È la mappa di un dolore che non ha nome e col quale si deve convivere. Il guardarsi allo specchio senza vedersi ha lo stesso senso di straniamento. Jamie prova un forte senso di rabbia, il desiderio di uccidere qualcuno. Lionel Brown è in ambulatorio, legato. È stato pestato dagli uomini di Jamie. Che vuole interrogarlo, per capire che cosa stesse tramando. Nel libro la faccenda è molto più complessa, avrebbero dovuto parlare della banda che terrorizzava le famiglie isolate e dava fuoco alle loro case, che faceva razzie ecc… Qui hanno semplificato con la vendetta verso Claire in nome del presunto affronto per mezzo del dottor Rawlings. Quando Claire chiede al marito se lascerà vivere Brown, lui le domanda se il suo giuramento sia così forte e si sente controbattere che lei è felice che gli altri siano morti. Che le dispiace esserlo e dinanzi allo sguardo angosciato di Jamie scatta in piedi. Non desidera che lui si preoccupi per lei, che ha affrontato una guerra mondiale, ha perso un figlio (Faith Fraser, in Francia) e due mariti, ha sofferto la fame con un esercito, è stata picchiata e tradita, è stata imprigionata ed è sopravvissuta. Jamie la ascolta, con le lacrime negli occhi, ma non la interrompe e non le dice nulla di banale. Ascolta. Che, spesso, per una vittima è fondamentale. L’ascolto. Dovrebbe essere distrutta da questo? Non accadrà. Non lei, la colonna portante, quella leonessa che non si arrende mai. Brianna torna a casa e trova il marito che sonnecchia sulla poltrona. Claire non è riuscita a parlarne, è troppo presto e Bree dubita che riesca mai a farlo. Forse un giorno lo racconterà a Jamie e Roger trova la migliore definizione per un trauma del genere “Deve essere un’orribile combinazione di parole da dover trovare in se stessi e da dire ad un altro essere umano” ma il professore non è in cattedra, guarda sua moglie, vittima di violenza carnale e la guarda con amore e comprensione. Sono bellissimi questi due, non capisco chi dice che tra loro non c’è chimica o che non siano espressivi. Una volta a letto, però, Roger ha un peso di cui liberarsi e chiesto aiuto e ascolto a sua moglie, le fa spengere la candela, per confessare: ho ucciso un uomo. Nel buio. Dove vive la nuda verità. L’indomani Marsali è nell’ambulatorio, con Brown legato sul lettino. Claire esita, lo guarda ed entra a testa alta ma senza rivolgere più lo sguardo alla feccia. Lui chiede pietà e che sia allentata la corda, Marsali è dura, che cosa è quella se non pietà? Brown è proprio orripilante, ha il coraggio di chiedere a Claire di pregare Jamie di non ucciderlo. Le donne non rispondono, la medicA domanda a Marsali di preparare in infusione del sinfito (la consolida maggiore) e metterlo nella siringa. Marsali esprime a voce alta il pensiero di tutti: è uno spreco usare delle medicine per uno come voi. Brown implora Claire, che impugna un bisturi e mentre lei cerca di farsi forza, la vediamo raccogliere l’arancia, nella casa assolata e allontanarsi. Di nuovo il distacco necessario dalla realtà ma non appena ripiomba, lascia andare il bisturi e si allontana, dopo aver tranquillizzato l’infame: non vi farò del male. Anche se, a dirla tutta, sembra che lo dica a se stessa. Un trovarsi, di nuovo, per chi è. Per come è lei. Marsali ascolta e la guarda andare e qualcosa le passa dentro, qualcosa che le pesa. Lo leggiamo sul suo viso. Mentre quel che c’è in Claire è tutto in quel rannicchiarsi per terra, sulle scale davanti la sua camera, al secondo piano, in un pianto che è quasi inudibile, singhiozzato. Altra scena tristissima recitata superbamente da Caitriona Balfe. Marsali non sta preparando esattamente una pozione medicamentosa, se ricordiamo quel che mette in infusione in un altro pentolino. Brown, che non lo sa, le affonda la mano verso una sola direzione. Chiede pietà per il proprio appetito, è insolente, borioso, arrogante, si sente superiore alle donne, minaccia Marsali, se non verrà trattato bene suo fratello Richard verrà e massacrerà tutti, darà fuoco alle loro case. Dopo che lui ha distrutto la distilleria e rapito e violentato, con un branco, Claire. La misura è colma, avrebbe recitato un vecchio proverbio. Marsali oppone un sorriso e una determinazione che spaventa. Claire, dice, le ha insegnato tanto. Di non nuocere. Ma lei non ha fatto alcun giuramento. “Avete fatto del male a me. Avete fatto del male alla mia famiglia. Avete fatto del male a mia madre. Vi vedrò bruciare all’inferno prima di permettervi di fare del male ad un’altra persona in questa casa.” Scaricandogli nel collo un’intera siringa di preparato di radici di cicuta. È Jamie che la trova, seduta per terra, come chi non sopporta il peso di quanto è successo, con Brown che giace immobile sul lettino e col viso coperto. Nel libro è Mrs Bug che se ne occupa, lo soffoca con un cuscino quando Claire si allontana perché la feccia si faceva beffe della bontà di Claire e riteneva di poter spadroneggiare. Marsali spiega a Jamie, in qualche modo, il proprio gesto, non essere ritenuta migliore del fango che Brown calpestava, una donna senza importanza. La paura di Marsali che Brown la perseguiti o che lei vada all’inferno non è senza fondamento, dato il tempo in cui ci troviamo. Ma Jamie la consola, poi impacchetta il cadavere e lo porta fino a Brownsville. Da quell’uomo coraggioso che è, entra in casa di Richard Brown, come l’Angelo della Morte, e gli deposita senza grazia il fratello ai piedi. “Un gruppo di uomini ha fatto irruzione nella mia terra. Hanno rapito e violentato mia moglie. Li ho seguiti e li ho uccisi tutti.” Vi prego di notare il tono di voce di Jamie, il suo sguardo, la posa. “Vi ho portato vostro fratello così potrete seppellirlo.” Nel silenzio sbigottito e imbarazzato, nessuno osa muoversi, solo Richard parla “Vi ringrazio per questo. Lionel ha raccolto quanto ha seminato. Avete fatto ciò che dovevate.” E lo afferma con aria quasi sottomessa, ma mentre Jamie si congeda lo sguardo di Richard cambia, diventa duro, come le parole “Così farò io quando giungerà il momento.” Ma Jamie, che si ferma, non deflette, si allontana. Ascoltiamolo, ci capita raramente di osservare la vita con i suoi occhi “Sono sopravvissuto alla guerra e ho perduto molto. So per che cosa vale la pena combattere e che cosa no. L’onore e il coraggio sono una questione di midollo e ciò per cui un uomo è disposto ad uccidere è anche ciò per cui morirà. “Nel mentre la vita scorre al Ridge, la musica ci accompagna e noi ci fermiamo a ridosso dell’anima di un uomo che non potremmo che amare “La vita di un uomo sgorga dal midollo della sua donna ed è nel sangue di lei che viene battezzato il suo onore. In nome dell’amore soltanto attraverserei di nuovo il fuoco. “. È un giorno perfetto, un giorno di quelli in cui Roger considera che non avrebbe mai scommesso sul poter camminare di nuovo su quelle terre, ma sono li. Si trovano sempre sulla strada meno esplorata. Così Bree gli cita Robert Frost “Dirò questo con un lungo sospiro. Chissà dove e fra tanti anni a venire: Due strade a un bivio in un bosco, ed io- Presi quella meno frequentata, E da ciò tutta la differenza è nata“. Roger non è deluso di come è andata, perché volevano che le Pietre li portassero a casa e l’hanno fatto. Sul portico, lontana da tutti gli altri, vestita di blu, con i lividi addosso e sul viso, Claire osserva la sua casa, la sua gente. Inizia a notare di nuovo cose fuori di lei. Il tempo è passato. Il palo è storto e al marito che si offre di raddrizzarlo, obietta di restare lì e godersi quel giorno qualunque. Perché, nonostante siamo sempre più drogati di emozioni forti e non ci basta bere una serie tv in due giorni e più violenze ci sono meglio è, quando quelle violenze ci riguardano il discorso cambia e l’ordinary day di Claire è quello che tutti dovremmo avere, un giorno sereno, con le persone che amiamo, in pace, nella vita di tutti i giorni. Che non risparmia dolori e lutti e contrarietà e gioie a nessuno. Chissà per quanto ancora avranno quella pace. Di lontano il temporale che si avvicina presagisce i giorni della Rivoluzione. “Sicuramente i più coraggiosi sono coloro che hanno la visione più chiara di ciò che li aspetta, così della gloria come del pericolo e ciononostante l’affrontano.” Jamie cita Tucidide, deve essere un vezzo dei Rossi, sa che si tratta di coraggio solo se si può scegliere e sua moglie gli fa da eco, nel cuore, l’affronteranno al meglio. Lei gli dice che lo ama e lui ribatte che quando arriverà il giorno in cui davvero si separeranno, se le sue ultime parole non saranno “ti amo” sarà solo perché non ne ha avuto il tempo. E questa è la chiusura di Vessilli di Guerra mentre tutto il resto è stato Nevi Infuocate. Così chiudiamo la stagione entrando nella camera dei Fraser, dove entrambi nudi giacciono, lei rannicchiata e compresa nell’abbraccio di lui, che la carezza, le dice che è coraggiosa. “Come ti senti? Al sicuro.” E la visione di loro, nudi come la verità, uno allacciato all’altro, finalmente di nuovo una coppia sotto tutti i punti di vista, mentre fuori infuria il temporale, chiude l’episodio e la stagione. Si sente piovere e poi, come regalo aggiuntivo, la sigla iniziale viene cantata in modo meraviglioso, a cappella, mentre scorrono i titoli di coda, come in un film al cinema.

E’ finita. Grazie, davvero, mi sento di ringraziarvi per averci seguito, per essere stati con noi qui su La Gazzetta di Outlander, di dirvi grazie per la stima che mi avete dimostrato in questi anni e in questa che è per me l’ultima stagione di recensioni. Una stagione gravata da numerosi problemi, primo fra tutti la reclusione per il Covid19 che ha reso particolarmente pesante affrontare settimanalmente anche l’impatto emotivo delle recensioni, per non dire dei rimaneggiamenti di tre libri riassunti in appena dodici episodi. Un lavoro egregio, nessuno lo nega, ma c’è stato tanto che è rimasto per terra. Ad ogni modo questa è l’ultima stagione tranquilla e questo fa sorridere trattandosi di Outlander, probabilmente con la prossima entreremo nel vivo dei moti rivoluzionari. O quasi. Non so se tornerò in qualche modo e in qualche forma a scrivere di un mondo che amo, tantissimo, profondissimamente. Per ora vi lascio con un abbraccio e un enorme grazie.

Recensione a cura di Cristina Barberis.

8 Risposte a “Recensione Outlander Episodio 512: Never My Love”

  1. ho scritto troppo in fretta e pubblicato troppo in fretta. Mi hai fatto piangere, ho sentito tutte le emozioni che hai scritto.Ho “sentito” anche il tuo addio, e il pianto è divenuto più forte… io che non ho mai pianto per qualcosa visto in tv o altrove.Ciao Cristina e grazie .

  2. Tiziana è per commenti come i tuoi che è valsa la pena di affrontare anche la durezza e la fatica di certi episodi, fin dalla prima stagione. Perché suscitare emozioni profonde, lasciare una maggiore o diversa comprensione di quanto visto, è per me il migliore dei complimenti.
    Grazie infinite a te Tiziana, un abbraccio.

  3. Una recensione intensa profonda dettagliata di un episodio ahimè l’ultimo per questa stagione.
    Scene crude,scene vere di vita reale vissute da tutti noi (almeno una gran parte) segni indelebili che ci portiamo dietro come cicatrici ma non per questo non ci permettono di andare avanti e che ci hanno fortificato.
    Cristina desidero ringraziarti una volta di più per averci allietato con le tue splendide recensioni anche per questa stagione,una stagione intensa cruda e splendida resa ancora più intensa dal tuo lavoro.

  4. Cara Laura sono io che ringrazio te, di tutto cuore.
    Sono contenta che sia stato questo l’ultimo della stagione perché da come hanno messo le cose, avranno molto da sistemare e ricucire, in linea temporale e come ho detto anche altrove, se tutto funziona per chi ha visto solo la serie tv, per chi ha letto i libri è stato come rimbalzare alla stregua di una pallina da ping pong e sentirsi sballottare qui e lì. Anche cambiare la destinazione di Ulysses, cambiare quel che c’è stato tra lui e Jocasta, metterci Murtagh…Insomma, ne hanno cambiate tante di cose, restando sempre al top della qualità, ma spero che non riscrivano più nulla.
    Un abbraccio e grazie <3

  5. Grazie di tutto cuore. Ho ritrovato nelle sue parole tutta l’emozione, lo sgomento e la commozione provati durante la visione dell’episodio e la lettura del libri .
    Spero veramente che il suo non sia un addio .

  6. Mi sono appassionata di outlander per caso.
    Ho divorato la serie ti dalla prima alla quinta stagione . Non mi era mai successo. Gli attori superbi e la storia meravigliosamente sentita.
    Ho trovato per caso questo blog e l’ho letto di pari passo alla visione delle puntate.
    É’ stato strabiliante.
    Mi sono piaciute anche le considerazioni estemporanee alla storia. La lettura confrontata con quanto viviamo, confrontato con la nostra realtà.. mi ha a tratti commossa.
    Ho deciso di leggere anche i libri e grazie al blog so che mi dovrò aspettare altro..

    una domanda: ma la sesta e settima stagione che stanno girando, a quali libri dovrebbero fare riferimento?
    Spero di leggere non appena ricomincerà la stagione.
    Grazie

  7. Molto belle le tue recensioni ma voglio scrivere una mia opinione : la forza di claire non ha eguali x le violenze subite ha saputo reagire subito ha riabbracciato quasi subito suo marito infatti l’ ultima scena con loro nudi nel suo letto lo dimostra. Devo dire che x jemie quando è stato abusato da jack randall è stata una cosa molto più lunga non voleva essere toccato nemmeno da claire perché? In fondo la violenza è violenza in qualsiasi persona !

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