Recensione Outlander Episodio 202: Not in Scotland Anymore

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Scoppiettante!

Questa è la parola che mi sale alla mente se penso al secondo episodio della seconda stagione di Outlander: scoppiettante! Brillante e frizzante, leggermente osé e visibilmente “francese” e molto divertente.

Andiamo con ordine, dopo il riassunto (col sottofondo della splendida musica della notte delle donne nel Cerchio di Pietre) e la sigla, che trovo emozionante e non ho timore di ripetermi, ecco che arriviamo al cuore di questo “Not in Scotland Anymore”, diretto di nuovo da Metin Hüseyin.

Il cuore di ogni episodio in genere è il filo rosso che si snoda per l’intera vicenda e, qui, la piccola matassina la vediamo sbrogliarsi da subito, solo per partire con i primi intrecci.

Il cuore è la prima scena, cioè la vestizione (i costumi di Terry Dresbach sono un capolavoro di sartoria!) di Louise de Rohan vicina dei Fraser a Parigi. E’ una donna giovane e ciarliera, nobile e ben inserita a corte. Lei si veste e…Subito dopo la scena cambia di colpo e ci immerge in quello che sembra un sensualissimo rapporto tra i nostri due. Peccato che, invece, si tratta di qualcosa di molto più triste e duro da mandare giù: Jamie ha frequenti incubi, dopo le torture subite a causa di Jonathan Randall e questo gli provoca una sofferenza che, se di giorno tacita sotto uno sforzo da guerriero, di notte il dolore sfocia nel solo modo che può, terrorizzandogli il sonno.

La scena mi ha colpita moltissimo, è di una crudezza feroce e se quella sensualità iniziale aveva fatto pulsare il cuore, quello che segue stringe lo stomaco e spezza il fiato. Soffermarsi sulla bravura di Sam Heughan e di Tobias Menzies non è scontato, sono splendidi.

Claire, moglie amata e innamorata, cerca di aiutare Jamie come può, con comprensione e amore.

Ma, alla fine, i nostri incubi possiamo combatterli soltanto noi. Così Jamie scivola via nelle ombre della notte, in cerca di pace.

Quanto amo quel chiarore differente, c’è un uso della luce sapiente, Jamie è nel chiarore, così che il suo viso buca lo schermo, la candela gli rende il calore che l’incubo ha tolto mentre Claire è nel blu del buio, col calore che, invece, le vibra solo nella voce.

Immediatamente dopo la musica che ci racconta della sofferenza di questa coppia di amanti diventa potente e sontuosa.

Parigi 1745, immaginiamo come dovesse essere la vita ai tempi? Ora, noi ci fermiamo agli strati sociali più elevati, perché la nostra storia, per adesso, è li che si dipana. Ma proviamo a chiudere gli occhi e che vedremmo? Palazzotti nobiliari che splendono alla luce del mattino, ascolteremmo il suono delle voci dei venditori, dei passanti, il cigolio delle ruote delle carrozze e guarderemmo, con una sorta di invidia, gli abiti e le carrozze e gli arredi di quel particolare momento storico.

Perciò regista e sceneggiatori ci regalano uno squarcio splendido nel 1745, con una freschezza di immagini e con una tale vivezza di colori che ci sembra di starci in mezzo e se la Praga di oggi offre il cuore per fingersi la Parigi di allora, il resto lo fanno quelle immagini in cui recepiamo il blu del cielo, l’ardesia dei tetti, il grigio delle pietre dei palazzi, quel nero sporco delle strade selciate e la paglia messa lì, di fianco, perché sono percorse da cavalli e quindi serve.

A me è sembrato di farci un tuffo dentro, impeccabili sia la regia che la scenografia che le location.

Il duetto di una elegantissima Claire con la cameriera Suzette che si lamenta di non poterla accudire come si conviene, e sappiamo che Claire proviene da un tempo e da un ceto sociale in cui la cameriera è ormai un ricordo, è delizioso e il viaggio di Claire in carrozza è un gioiellino, così come la sua ascesa al palazzo di uno dei personaggi più buffi e più intriganti del romanzo, Monsieur Raymond.

Avete notato i colori? Quanto blu che c’è in queste scene? Il blu delle giacche, dei muri e delle scale, il grigio e il verde che vira sul blu, ancora. Digrada e si accende, blu e azzurro e turchese, incantevole.

Blu è la facciata della bottega dell’uomo che Claire cerca e blu verde che vira sul nero, con le luci morbide delle candele che fiammeggiano illuminando quel coccodrillo in bella vista, così esotico nel 1745, l’interno.

Pur non avendo le sembianze descritte nel libro, Maitre Raymond resta un piccolo uomo buffo ma estremamente arguto che sa chi sia Claire e che, in una bottega magistralmente ricostruita, la accudisce con solerzia, con rispetto e con quel pizzico di ammirazione che ha chi, come lui, riconosce una sua pari. O una che ne sa addirittura di più. (Vedo che il vostro naso non è puramente decorativo, madonna.)

Mi sono molto goduta la prima visita di Claire da Maitre Raymond, quel volteggiare dell’omino sulla scala, quel suo declamare i nomi latini delle erbe, quell’ammiccare da commerciante e, perché no, da uomo galante con una bella donna.

Perché anche se Parigi che di sicuro, come fa capire Claire durante il viaggio, è una città che merita sempre di esser vista, è assai grande ma le voci però circolano sempre.

Anzi, più si frequentano le cime di quelle montagne, i piani nobili di quella società e più si è esposti, messi in vetrina e, quindi, le voci si formano e ingrossano e girano. E ad ogni modo, credete che un gentiluomo scozzese alto, grande e grosso e rosso di capelli possa passare inosservato? Sua moglie, quindi, che si mette subito in rotta di collisione diagnosticando il vaiolo, è, chiaramente, il suo degno contraltare e, insieme, formano il succulento piatto all’ordine del giorno. Così è lui stesso, Maitre Raymond, che dice di conoscere Claire per via delle voci su monsieur le Comte e, a domanda diretta, risposta diretta, lui e il Conte sono rivali, nemici, quindi è felice di esser amico di Claire la quale, ovviamente, ne è assai più lieta.

Un amico serve sempre, specie dove la posta in gioco è la vita.

Cambio di scena, viriamo dal blu al verde (ma quanto ci ricordano la Scozia questi colori?) dei giardini, un verde che è brillante, intervallato da sentieri di terra e da statue di marmo e, anche, punteggiato dai presenti, che si avvicinano, quasi si fosse noi che osserviamo la scena, a guardare quei due bizzarri personaggi che duellano.

Murtagh, maestro di scherma nonché amico e padrino di Lord Broch Tuarach, lo sta aiutando a recuperare la forza e l’agilità nella mano sinistra. La scena attira molti curiosi che Murtagh caccia via da par suo. Immaginiamoci che cosa avremmo provato a vedere questi due, un colosso coi capelli rossi e il suo compare che indossa quel buffo kilt, mentre tirano di spada?

I duelli a Parigi sono vietati, lo sappiamo anche per via di un personaggio che comparirà dopo.

Murtagh ha nostalgia della Scozia e se ne lamenta con Jamie, tanto da chiedergli che cosa abbia intenzione di fare, erano venuti li per metter fine ad una ribellione o no? Il punto di vista di Murtagh (uccidere Bonnie Prince Charlie) non ha una eco forte in Jamie, che risponde con logica alla richiesta di azione di Murtagh.

La lettera di Jared porta Jamie dritto tra le braccia del Principe, o quasi, in un bordello in cui, tra uno scherzo di gusto adeguato al momento e al luogo e un lazzo, Jamie e l’inseparabile Murtagh siedono al tavolo del principe ereditario.

Il quale, siccome sa che Jamie Fraser non è uno dei “sicofanti” (in lingua dice così) che gli sorridono dicendo solo quel che pensano egli voglia sentire, chiede notizie dei clan, sono pronti ad insorgere per scacciare l’eretico che siede sul trono di re Giacomo? E Jamie, da par suo, pur scegliendo le parole con cura, giacché con un principe sta parlando (usa qui la battuta sul colore del cielo che sul libro usa con un altro personaggio, molto arguta ad ogni modo) cerca di smorzare l’idea della ribellione. Chiaramente tutto ciò non va a genio al Principe, il quale si offende, si risente e tra le righe accusa Jamie di non essere un vero patriota (da un presunto giacobita) al che il nostro replica con il numero delle frustate che ha subito ad opera degli Inglesi ma anche lui deve capitolare quando il principe ci mette in mezzo, in un tentativo che tra l’ubriaco e il puerile è reso benissimo, la volontà di Dio di vedere un Re cattolico sul giusto trono. Dinanzi a quello, c’è Murtagh che interviene, con poche frasi che disegnano paesaggi, dipingono caratteri, rendono l’odore della terra scozzese e la crudezza della richiesta di Bonnie Prince Charlie. Notate che Murtagh è in verde, Jamie in blu e il Principe in rosso, non vi sembra perfettamente adeguata la scelta dei colori per il discorso? Due scozzesi sinceri che dicono la verità al Principe, che vuole portarli a morire, per tornare sul trono. Quel rosso è un tocco magistrale.

Ma il Principe usa i mezzi pesanti, ci mette di mezzo Dio (perché io sono per diritto divino la mano tesa di Dio) e di fronte a Dio, Jamie Fraser, cattolico convinto, si segna con la croce. Amen, diremmo noi. Il Principe lo manda a chieder danari al suo posto, giacché non è in Francia in maniera ufficiale e quindi etichetta vuole che non possa presentarsi a Corte. Jamie andrà a chiedere soldi e aiuti al ministro delle finanze francese. Quando Jamie giura e il Principe si alza, l’espressione di Murtagh e la frase in gaelico sono uno spettacolo per gli occhi, ma l’espressione del viso di Jamie lo è anche più.

In tutto ciò il nostro scozzese preferito ha bisogno dell’aiuto e dell’appoggio della moglie. La quale cerca di bloccare la ribellione scozzese in seno alla Corte francese e, per farlo, ha bisogno di Louise de la Tour, marquise de Rohan. L’intermezzo con la ceretta è un succoso spaccato dei costumi dell’epoca, quando pensiamo di essere le sole a soffrire per la nostra bellezza, ricordiamoci di Louise. Peccato che anche noi non si possa, di tanto in tanto, schiaffeggiare chi strappa via maldestramente i nostri peli superflui o forse la nostra si chiama educazione? E, tra uno strappo, un urlo e uno schiaffo, entra in scena la piccola Mary Hawkins. Personaggio cardine nella famiglia Randall, la ragazzina, ha solo quindici anni, è destinata al matrimonio con un nobile che non vuole, brutto e vecchio. Ma la storia, l’altra, quella che Frank legge nel suo secolo, potrebbe portarla in una direzione diversa, ma andiamo per gradi. Mary e Claire andranno a corte su invito di Louise e Claire ottiene non solo “un abito degno di una regina” ma anche di portare il marito con sé. Il quale, quando apprende della perfetta “pulizia” della moglie, sulle gambe e anche in un posto per cui le sopracciglia di Jamie si inarcano, al sentire di quell’atto, reagisce tutto sommato in maniera quasi perfetta, la passione e l’intesa è molto alta tra i due. Ma, purtroppo, il colpo che ti stende è quello che non vedi arrivare e come uno di quei pupazzetti a molla che escono fuori quando proprio non è il caso, ecco di nuovo il nostro odiato Black Jack sotto forma di incubo, stavolta ad occhi aperti e, purtroppo, ai due non resta che aggrapparsi sgomenti all’idea tranquillizzante che, almeno, l’odiato nemico sia morto.

Un capolavoro di sartoria, descritto perfettamente nel libro, è reso in maniera magistrale in pellicola, per cui Claire è assolutamente stupefacente con l’abito rosso, ma suo marito non la pensa così. In una gamma espressiva facciale che ha del delizioso, Jamie dapprima si rifiuta di vederla vestita così e poi accondiscende, purché, chiaramente, lei usi “un ventaglio più grande”.

L’abito che abbiamo visto all’inizio dell’episodio, la copertina, è quello che Louise usa per questa serata a corte. Ed eccoci all’incontro con un altro personaggio che ha avuto un peso, nella storia della nostra coppia preferita: Annalise de Marillac. L’incontro saltellante, gli si avvinghia al collo, con Jamie e il successivo dialogo è un pezzo degno di una commedia brillante. L’imbarazzo di Jamie, il divertimento di Murtagh, l’evidente fastidio di Claire mascherato alla perfezione, se non fosse che il marito la conosce, rendono questo siparietto estremamente gustoso. Annalise capisce l’antifona e quando invita Jamie a vedere il Re, assicura a Claire che sarà una cosa speciale, un grande onore, come sottolinea Louise. Lei accetta, non potrebbe fare altrimenti e poi chiede a Murtagh di seguirli. Non seguirlo, ma al plurale. Per sventare l’eventualità che prima di arrivare dal Re ci sia un’alcova compiacente? Chissà. Claire è passionale, molto. Qui, tra discorsi seri, la Chiesa e gli eretici, troviamo il Re impegnato in una funzione corporea naturale ma che, ognuno di noi, rifiuterebbe di mostrare ad altri. Invece i Re facevano tutto davanti ad un pubblico di “fortunati”. Il pezzo ha una comicità voluta che lo fa sfociare in qualcosa di strano, per noi, ma non volgare né antipatico, anzi, quando Jamie si fa presentare al Re e gli raccomanda il porridge, nelle cui virtù benefiche ogni vero scozzese crede, per combattere la stitichezza, nonostante la presa in giro della corte, il nostro non perde né di spessore né di forza. Impavido di fronte allo spettacolo che è costretto a guardare, si fa notare, sempre e comunque o non sarebbe James Fraser.

Claire invece, che non ha molti appellativi “simpatici” per le parti anatomiche maschili, si inoltra in un padiglione, per prendere aria, non prima di aver scorto Mary che parla con qualcuno. Proprio quando si sente sicura, viene praticamente approcciata in maniera “ruvidamente appassionata”. L’autore di quel gesto, così manifestamente non voluto dalla donna inglese, è il ministro delle finanze che però spegne i bollori in un tuffo non previsto nella fontana ad opera del marito della donna in rosso. Ma il ministro non è una persona rancorosa e, anzi, si scusa profusamente e accoglie persino la presa in giro del Re, quando quegli arriva con amante e resto della corte, con spirito encomiabile. Una cosa che mi ha colpita leggendola e che ho trovato tal quale, sono i piercing sui capezzoli dell’amante del Re. A parte il dolore, credo che sfoggiare così una parte del corpo sia, per noi, almeno in un contesto pubblico come la Corte, qualcosa di assurdo, ma per l’epoca e per quel contesto è, invece, notevolmente “normale” se mi si passa questa espressione.

Dopo l’incontro, che lascia colpito anche Murtagh, è proprio questi a introdurci nella successiva fase, quella finale. Egli ci porta dritti dritti tra le braccia poco accoglienti del Duca di Sandrigham, il quale, nel solito modo untuoso e falso, ha dapprima un incontro apparentemente cordiale con Jamie, dopo le minacce di morte di Murtagh e poi rimasto solo con Claire, ha modo di misurarsi con la donna, che resta un avversario degno di lui. Ma ha modo di segnare un punteggio più alto sul tabellone perché le presenta il gentiluomo col quale Mary si intratteneva: Alexander Randall, fratello minore di Black Jack e, qui, il colpo di scena, che non fiacca Claire solo perché è una donna forte che ricuciva pezzi di essere umano al fronte, in guerra: Black Jack è vivo, vivissimo, forse un po’ provato da “recenti avvenimenti” ma vivo. La notizia è terribile, perché l’odiato nemico è vivo, perché probabilmente il Duca di Sandrigham ha sì simpatie giacobite, ma è anche in combutta con Randall e, soprattutto, perché Claire si domanda disperatamente sgomenta, tra i fuochi di artificio che illuminano a giorno quella notte parigina in quale maniera può dare a Jamie questa notizia.

Se fosse una Jedi le diremmo “Che la Forza sia con te” ma lei è Claire, ha sul serio bisogno di questo nostro augurio?

L’episodio è scivolato via con grazia e arguzia, con divertimento palese e con colpi di scena brillanti, in un’ambientazione impeccabile. Superba la recitazione e la mano del regista si conferma felice. Qui siamo di fronte ad una produzione coi contro fiocchi. Niente sbavature, niente imperfezioni. Dargli un voto? 10!

Recensione a cura di Cristina Barberis.

2 Risposte a “Recensione Outlander Episodio 202: Not in Scotland Anymore”

  1. Io dò 100 a lei per la magnifica recensione: superba, potremmo fare a meno di guardare la puntata…
    brava e ancora brava e naturalmente me la sono salvata. Ormai non potrei fare a meno del suo parere
    Grazie
    con stima
    Luciana

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