Recensione Outlander Episodio 201: Through a Glass, Darkly

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Il cuore pulsa in gola, il fiato inizia a scarseggiare, l’emozione sale nelle vene come fuoco che ruggisce ed eccoci, ci siamo! Quanto abbiamo aspettato? Sono certa che anche voi, come me, abbiate contato i mesi e, poi, i giorni e, finalmente, le ore, fino a sentire quel pizzico di doloroso fastidio mentre la prima immagine compariva sullo schermo e, allora, tutto quello che è passato, tutto quello che abbiamo atteso è scomparso.

Ci siamo, la Seconda Stagione di Outlander è arrivata ed è già magia. Permettete che usi una frase stereotipata, ma questa è magia!

L’episodio si apre con il riassunto, esattamente così come siamo abituati e se ci fosse stato alcuno tra noi che non sapeva nulla di ciò, lo avrebbe capito. Problema risolto, adesso passiamo ai pesi massimi, giusto? Tutti sappiamo come si apre il libro dal quale la seconda stagione è tratto “Dragonfly in Amber”, scritto dalla inimitabile Diana Gabaldon, è stato pubblicato nel luglio del 1992 ed è approdato da noi circa una decina di anni dopo. O quasi. La trama non la svelerò, ma come nelle scorse volte mi permetterò il lusso di parlare con chi ha letto e/o visto, lasciando che elementi vitali per lo svolgimento della storia siano menzionati solo all’occorrenza. Il primo impatto è quel verde, troppo verde, ma non eravamo rimasti in mare aperto diretti in Francia? Ed eccoci alla prima svolta, molto arguta come mi è stato fatto notare, giacché non anticipa i venti anni dopo, che ha un sapore quasi da Dumas, ma ci riporta dritti nel cuore del tempo che non è più il tempo dei Fraser e delle rivolte giacobite. Claire è vestita come dovrebbe essere ma è davanti La Roccia, chiamiamola così quel monolite impressionante che ricorda la scintilla divina di 2001 Odissea nello Spazio. Quasi che si fosse stati concepiti dalle rocce, noi. Basta divagare, sono emozionata e la mente lancia fili e tesse collegamenti. Claire è davanti la roccia e dice una cosa che ci fa rizzare i peli sulle braccia “Avrei voluto essere morta.” Ma ha fatto una promessa e deve mantenerla. La promessa di che? A chi? Noi che abbiamo letto, sappiamo. Lasciamo un po’ di suspense, andiamo avanti. Claire ci dice che tutti coloro che ha lasciato sono polvere (che meraviglia quelle urla di rabbia e di frustrazione davanti alla Roccia, quella soglia dalla quale tornare in quel momento era accettare la sconfitta e la perdita. ) e capiamo che cosa sia successo in questa Scozia blu e verde, con quei colori foschi che segnano il passo del dolore che pulsa nelle vene della donna. Immaginate, adesso, di trovarvi su una strada e di vedere una persona vestita fuori tempo, in un contesto inequivocabilmente stridente e lei non solo non vi risponde subito quando le chiedete come sta, ma vi aggredisce “Dove sono? In che anno siamo? Chi ha vinto la battaglia di Culloden?” e voi siete gente del vostro tempo e volevate solo soccorrerla e quando rispondete e la vedete piegata dal dolore, che cosa pensereste? Noi persone degli anni 2000 ci sentiamo rotti a tutte le esperienze, poche cose ci toccano. Ma è sul serio così? Se fate una piccola ricerca sulle persone riapparse, vedrete che la storia è piena di questi fatti, pensate ai bambini verdi di Woolpit e a storie simili, racchiuse nel “poco presuntivamente serio” mondo delle leggende e delle stramberie, quelle cose da leggere annoiati in attesa del treno, del bus, del dentista. Possibile che siano solo leggende? “Ci sono più cose tra cielo e terra…” E torniamo a questa donna, la nostra Claire. Che quando riceve la risposta si piega, letteralmente crolla su se stessa e si regge il ventre. Fulcro di ogni cosa, per una donna, le emozioni passano da lì e li tornano. Lì custodiamo tutto, tutto. Quelle mani che si portano sul ventre non sono un caso. Teniamolo a mente.

La sigla, eccola quella meraviglia di immagini e di musica, che si dipana sotto i nostri occhi e come un amico che non vedevamo da tempo, la accogliamo col sollievo di non dover più aspettare. È cambiata, chiaramente, ha immagini dell’intero girato e aver riconosciuto due episodi del libro in questione mi ha fatto piacere, quanta cura che ci mettono sempre! È cantata in francese, ma non è una trovata piacevolissima? L’ho apprezzata molto.

Entriamo nella vicenda.

Through a Glass, Darkly. Diretto da Metin Hüseyin, prodotto dall’infaticabile Ronald D. Moore, si apre con un piccolo Roger, il nostro adorato Roger Mac, che sonnecchia su una poltrona, quindi siamo proprio nel dopoguerra, lui stesso è leggermente più grandino. Un momento dopo, un’entrata da cinema, un passo di uomo deciso, impetuoso, “quella” voce, la sua voce, il cuore che mi sbatte nella gola e quel mio “FRANK!”. Si, perché a me Frank è sempre piaciuto e mi è piaciuto e ho apprezzato molto che in questa produzione si sia dato ampio spazio a questo personaggio, che è fondamentale per la storia.

Noi siamo Frank, la nostra amatissima moglie è sparita nel nulla e dopo tre anni ci dicono che hanno ritrovato una donna che potrebbe essere lei, anche per un personaggio “serioso” come Frank (ma le sue incursioni nel mondo Altro mi portano a pensare che lo sia molto meno di quanto crediamo) non può esserci attesa, anche l’educazione diventa un cavallo da domare. E dai suoi occhi capiamo tante cose, così eccolo che va dalla moglie (la guarda attraverso un vetro!) e si sente una musica così tipica, così smaccatamente anni 40 che è chiaro dove siamo e quando. La musica, ricordate? Ha dei paralleli molto forti con il primo episodio, come mi ha fatto notare anche nell’apertura il nostro Giuseppe, con Claire che prima parla e poi ricorda. Proseguiamo.

Frank entra e il primo impatto quale è? La musica, Claire chiede di spegnerla e si lamenta del rumore, perfettamente comprensibile, dal momento che arriva dritta da un mondo insonorizzato per così dire. Non si gira, non pensa che possa trattarsi di qualcuno di diverso da una infermiera, invece si tratta del marito, di quel marito che la guarda emozionato, impacciato, che quando le va vicino sorride, “immensamente grato” di averla lì e lei? Lei è impaurita, certo , impacciata, certo e colpevole? Chissà. Perché ama Jamie Fraser, che è la sua vita, perché …Eh si, le conseguenze di questo amore sono radicate letteralmente in lei ed è il motivo per cui è stata costretta a tornare indietro. Frank che le sembra Black Jack è stata una trovata geniale, così come Black Jack le sembrava Frank, nel primo episodio della Prima Stagione. Frank parla e lei lo sfugge e quando lui guarda il corsetto settecentesco immaginiamo il rumore delle domande nella mente dello storico? E il tenore delle risposte soprattutto dopo la lettera che riceve in merito? Si trovano dal reverendo Wakefield, la persona più vicina a Frank, l’uomo che lo incita a fare domande a Claire per sentirsi rispondere da Frank che aspetterà che sua moglie sia pronta a parlare. Un amore davvero profondo. Che forse non compete con nessuna “zazzera rossa” ma è lì ed è “in carne e sangue” come dice acutamente Mrs Graham , la depositaria di tutto quello che Claire ha vissuto, lei e non Frank. Perché è stata lei a dirle delle due strade sulla mano, dei due matrimoni e perché è una donna che ha danzato per una Divinità che non ha mai smesso di esserci. Quindi, perché non lei? E nel buio della notte la porta si apre, una è rosata, ha una luce calda e accogliente e sulla soglia c’è una donna molto bella, vestita con i colori della carne e sull’altra c’è un uomo nell’oscurità, nel blu freddo di una camera che non è accogliente e quando lei gli chiede di entrare per parlare, lui sorride, con una dolcezza infinita.

Tobias Menzies è un signor Attore, questa concedetemela, rende Frank Randall carne e sangue e pulsazioni dolorose e attese e interminabile pazienza e desiderio e amore.

(Ve lo ricordate un altro dialogo davanti al fuoco, con lei vestita da notte e lui da giorno?)

Notate che dal lato di Frank la luce è blu e da quello di Claire è rosa, è importante, molto, dopo capiremo meglio.

Ed è Frank che ci racconta di dove abbiamo visto la stessa scena. Frank che dice alla moglie che non gli importa dove sia stata o con chi ma che sia tornata, solo questo è importante. È con lui, che la ama. Ma Claire è una donna onesta e gli racconta tutto.

Arriva l’alba e la luce è livida, è blu che deve cambiare, fate caso ai colori, ai suoni, sono quelli del risveglio, ci sono moltissimi suoni di sottofondo, oltre il passo e il respiro di Frank, intirizzito più dal racconto che dal sonno mancato.

Lui “capisce” e Claire no, Claire sa che nessuno, secondo lei, può accettare che sua moglie ami un altro, che si dolga di aver perso quest’altro e Frank glielo dice, lo accetta ma non lo capisce, lo accetta perché la ama e quando l’ha persa si è sentito morire e adesso lei è lì, almeno non lo ha lasciato perché lo ha tradito e questo è fondamentale per lui. Perché quando c’è l’imponderabile, la spiegazione più ovvia è quella che appaga di più e che impedisce al dolore di mordere come un cane rabbioso. Ma anche l’amore di Frank non può accettare il figlio di un altro e dopo quel lampo di pura gioia (sei tornata da me e hai un figlio, quindi è mio!) lui capisce e lei lo dice che il figlio è di Jamie. Che effetto incredibile che fa sentir pronunciare il nome dello scozzese cattolico rosso di quasi 24 anni da Frank, vero? E Frank esplode, rabbia, dolore, la reazione che ha nel vicolo quando lo ingannano dicendo che hanno notizie di Claire ed eccolo, Frank dei Randall, un uomo più simile alla linea dinastica di quanto abbia mai mostrato. Non il mite accademico, è un uomo di carne e sangue. E ha un cuore, non dimentichiamolo. E la sua reazione nella rimessa e la sua confessione al reverendo, circa quello che Claire ha detto e la sua condizione del non poter avere figli, resa con un chiaroscuro che dimentica volutamente ogni altra cosa e quel dolore e quei sentimenti magistralmente resi, entrano nel cuore scavando un solco e lasciando ampio spazio alla pietà e alla comprensione, da parte nostra, perché Jamie Fraser è l’Uomo tra gli Uomini, ma questo Frank è uno che sa che significhi patire e, di questo, nessuno credo possa dire che non è importante, che non conta visto che lui non è, ovviamente, Jamie.

Un uomo che non può accettare i “piani di Dio”, con un umorismo tagliente e cinico, che però è spiazzato dalla dolcezza di un bambino che chiama padre colui che lo ama come tale, è un uomo pronto a fare un passo avanti.

Accetta tutto, propone alla moglie di ricominciare da capo ma a due condizioni: il bambino dovrà essere il loro e lei non dovrà mai più cercare, fino a che lui è vivo, notizie di Jamie. Claire accetta e lo fa perché Jamie le ha chiesto la stessa cosa cioè “di lasciarlo andare” e lei lo fa. In ossequio a Jamie, una specie di testamento spirituale della quale è curatrice e unica custode e a Frank non resta che stupire dinanzi alla richiesta dell’altro, che vuole il bene di Claire esattamente come lo vuole lui. Il vestito è bruciato, la fede lasciata al dito (quando sarai pronta!) ed ecco, Claire che inizia dal principio e di nuovo e perciò ha il soprabito blu. Blu come il cielo e gli occhi e la vita che deve continuare. Boston, non Inghilterra, perché qui i giornali la “flagellerebbero” (Non usare mai più quella parola con me.) ed ecco l’aereo.

L’arrivo, il sole, in America, quella Patria che per lei sarà la sola e la giusta dopo la Scozia, e Frank la precede, si gira, le porge la mano, lei sorride (un altro passo ancora) ed ecco, la mano di Claire, con un sorriso, in quella di…

Jamie, porto di Le Havre 1745, Francia. Ed è una Claire innamorata persa quella che guarda con una punta di divertimento quel marito che odia visceralmente il mare.

Il passaggio tra un mondo e l’altro e tra una Era e l’altra è stato resa con un espediente tanto poetico quanto funzionale (ricordate le locandine? Le mani tese?) e la musica accompagna tutto con una resa possente, lirica, che però rasserena, è un accompagnamento che dà pace e sollievo dopo le lacrime (perché si, ho pianto tanto).

Una battuta su Boston (molto azzeccata), un paio di baci ed ecco, Murtagh, il nostro amato, onnipresente e brontolone che si esprime con quell’accento quasi gutturale, in un inglese imbarazzato e in un gaelico carico di improperi.

I nostri due si sistemano in una comoda stanza di locanda nel porto (finalmente un letto che non si muove) ed è l’amatissima moglie che viene dal futuro a invogliare e ricordare il motivo principale per cui hanno scelto la Francia e non l’America per scappare dalla Scozia, c’è una rivolta giacobita da fermare e impedire la strage di migliaia di persone. Jamie, da par suo, accetta tutto quello che la moglie gli dice, ma spiegarlo a Murtagh è un altro affare, l’uomo è intelligente oltre che sospettoso e Jamie si impegna con un giuramento che al momento opportuno Murtagh saprà il motivo, non la menzogna.

Tre settimane dopo eccoci proiettati nel vivo, con un Jared Fraser che, mercante di vini e possessore di navi, discute con Jamie di politica ben rammentando quanto al rosso gigante della politica sia importato men che meno, in altre circostanze. E la domanda (che fuoco arde nel tuo cuore) ha una risposta che è degna di menzione: Courtesy of the British Army, una schiena martoriata e una mano storpia. Serve altro? Quella schiena che Jamie rifiutava di esibire nelle locande per la raccolta fondi è ora un’arma potentissima, esplosiva.

Naturalmente le domande non mancano e le risposte sono soddisfacenti: Jared darà loro aiuto e avrà Jamie a curargli gli affari a Parigi, mentre lui sarà in giro con le navi. Ma siccome i nostri non sarebbero tali senza un po’ di pepe, quale rimedio migliore per far passare le nausee mattutine se non diagnosticare una epidemia di vaiolo tra i marinai del Patagonia, la nave della flotta mercantile del temibile Comte de St Germaine? E così Claire e Jamie si confezionano un nemico nuovo e pericoloso, tutto pronto a vendicarsi. Del resto, terra che vai, nemici che trovi.

In chiusura degna di menzione è la sigla finale, che ancora riecheggia del fuoco della sfortunata nave che brucia, lasciando nel nostro palato il sapore perfetto di un mix di luci e ombre, di emozione e tensione, di costumi e location, di sceneggiatura inappuntabile, di trovate al limite del lirico e di una recitazione che, ancora una volta, si conferma rasente alla perfezione.

Benvenuta seconda stagione!

Recensione a cura di Cristina Barberis.

3 Risposte a “Recensione Outlander Episodio 201: Through a Glass, Darkly”

  1. Mi piace leggere le sue recensioni, come guardare la puntata di Outlander, questa meravigliosa serie.
    Grazie, è bravissima ed espone nello scrivere, quello che io penso e non riuscirei mai a mettere sulla carta,…perciò grazie di nuovo.
    Salverò tutte le sue recensioni come ho fatto per la 1 stagione e quando tutto sarà finito, rileggerò con
    qualche lacrima o sorriso in più
    con stima
    Luciana

  2. Luciana la ringrazio infinitamente, quello che ha scritto mi ha lasciato con un sorriso grato, davvero.
    Grazie molte, leggere le sue parole mi gratifica e mi spinge a migliorarmi. Che lei provi emozioni per quel che scrivo è un piacere e un onore.

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