Recensione Outlander Episodio 403: The False Bride

“Le radici sono importanti, nella vita di un uomo, ma noi uomini abbiamo le gambe, non le radici, e le gambe sono fatte per andare altrove.” (Pino Cacucci)

La prima sorpresa di questa terza tappa “The False Bride” del nostro viaggio è nel riassunto: eccoli lì, i nostri due, Roger e Bree. Finalmente, vero? Quando li ho visti ho provato sollievo. E una punta di ansia, ma andiamo con ordine. Scritto da Jennifer Yale e diretto da Ben Bolt, il terzo episodio apre con un’immagine piuttosto insolita: un enorme cervo costruito con rami piegati è illuminato, nella notte, dai fuochi e tutto attorno c’è gente. È il quadro dell’episodio, teniamolo a mente, ha un significato profondo e ci porta con le radici in Scozia. Intanto sorvoliamo i secoli e tuffiamoci nel 1970, siamo a Inverness, Scozia. Roger McKenzie Wakefield suona in un salone vuoto, lo riconoscete? M’è presa nostalgia, come sempre, quando le cose cambiano, siamo in bilico tra quello che è stato e quel che sarà …E il presente? Lo viviamo come lui, un abbraccio, regali e congratulazioni (Che il tetto non caschi mai sopra di noi e la nostra amicizia resti sempre in piedi!) a Ernie Buchan e sua moglie Fiona: Roger va a suonare a Boston, allo Scottish Festival e nel suo girare le spalle alla nipote di Mrs Graham, Fiona, c’è tutta la fragilità e il bisogno di ascoltare e, al medesimo tempo, di non pensare a quel nome: Brianna Randall. Ma è proprio Fiona felicemente sposata e proprietaria della casa del reverendo Wakefield che glielo riporta (dovresti dirle che sei innamorato di lei) e lo sollecita a incontrare la figlia di Claire e lui ci esterna la propria infelice felicità con un’espressione perfetta. Dal mattino di Inverness precipitiamo all’indietro nei secoli, fino ad un’alba incantevole su River Run, con gli schiavi che sospinti dal Sorvegliante vanno al lavoro, sotto lo sguardo addolorato di Claire, in piedi sulla veranda. Nel calore e nello splendore del salotto di Jocasta, zia e nipote si confrontano: il Rosso, in piedi, col camino alle spalle, la donna seduta, entrambi imponenti, ognuno a proprio modo. Jocasta vorrebbe che lui restasse a River Run, lui si scusa, col volto disfatto dalla notte insonne e terribile, ribadendo che vuole avere un suo pezzo di terra. Discutono, Jamie spiega che metteranno in atto il piano originario, riportare Ian a Wilmington e farlo imbarcare per la Scozia e loro si uniranno ad altri scozzesi, in una città già esistente dove Claire potrà curare e lui fare il tipografo (notiamo lo sdegno di Jocasta a questa sola idea) quindi le pone in mano un sacchetto di danari ma Jocasta replica che l’orgoglio non deve spingerlo a mettere in difficoltà la sua famiglia, perciò, con grande dignità e generosità, li provvede di un carro, di provviste, di pistole e di un fucile e, infine, gli dà qualcosa che apparteneva alla sorella: candelabri in argento. Erano una ricchezza e, in più, sono un ricordo. La scena è commovente, la zia che vorrebbe imprimersi nella memoria il viso del nipote, ma non può e Jamie che piange. Jocasta è testarda, è una McKenzie che fa piani, è forte, ed è anche incantevolmente tenera. Ian, come tanti della sua età, vuole esplorare, conoscere e l’idea di tornare in Scozia non gli piace affatto. E con l’impeto, l’energia e lo splendore dei suoi anni ribatte allo zio punto per punto. Rimandarlo in Scozia perché qui è pericoloso? Ma se lui ha superato due rapimenti, un uragano ed è sopravvissuto alla prigionia in una fossa: è partito come un ragazzo ma quel che ha vissuto lo ha cambiato, adesso è un uomo (sono un uomo, libero di scegliere il luogo che chiamerà casa). E non possiamo che dargli ragione. Nel morbido cognac di quel legno dietro le spalle di Jamie, nella luce del mattino, c’è finalmente un salto in avanti: Ian che si rende conto delle proprie forze. È il tempo in cui il mondo è nelle nostre mani, un momento benedetto, in cui ci sentiamo forti, quasi imbattibili, pieni di luce e di speranza. E, per un istante, mi ha fatto pensare alla considerazione che John Keating in “L’Attimo Fuggente” (se non lo avete visto colmate assolutamente questa lacuna!) fa della gioventù, dei sogni, degli ideali e della vita umana. Carpe diem. Viviamo sempre bene il presente. Perché non torna, non torna più. Jamie sorride, intenerito e cede. La gioia sul viso di Ian ci scalda il cuore e ci porta, immediatamente dopo, ad un confronto denso, crudo e duro tra Claire e Jocasta. Le due donne che più sono vicine a Jamie sa questa parte del mondo, non si nascondono nulla e tra dialoghi pungenti e calibratissimi (applausi a chi ha scritto l’episodio) svelano quanto tengono al Rosso del nostro cuore. In un mattino freddo e ventoso i Fraser si mettono in viaggio, Ulisse dà a Jamie il chiassoso mulo Clarence e Phedra si congeda, dolce e premurosa con Claire e mentre Jamie sta legando le ultime cose per il viaggio, ecco che arriva il trapper e Ian lo presenta, chiedendogli poi che cosa faccia lì: Jocasta gli ha chiesto di accompagnare il nipote verso Woolam’s Creek anche se Myers lo pone in un modo appena più garbato. In questa mattina di autunno inoltrato muoviamoci verso il futuro, con i Fraser che scortati dal mountain man e dalla loro intraprendenza si avviano contro un cielo di rara bellezza verso l’Ovest. Per dei Fraser che partono c’è un McKenzie che arriva. Siamo all’aeroporto di Boston e Roger è appena atterrato. L’incontro tra lui e Brianna è impacciato, non si vedono da qualche tempo, si sono sentiti per telefono, certo, ma vedersi? Si piacciono, moltissimo, ma Bree non è un’espansiva e Roger? Beh lui è uno di quei pochi uomini che fanno del rispetto la propria bandiera. Si mettono in viaggio, verso il North Carolina. Ci verrebbe da dire: e dove altrimenti? Tra autostrade a più corsie, pioggia e boschi nel fulgore autunnale, viaggiamo con Roger Mac e Bree. Sul sedile posteriore i resti del cibo da fast food, non dimentichiamo che ciò che a quell’epoca sembrava assolutamente ovvio e moderno è quanto ci ha ridotti così: allevamenti intensivi, deforestazione selvaggia, inquinamento, depauperamento. C’è sempre l’altra faccia della medaglia. Il North Carolina deve essere un posto magnifico, montagne, boschi, guardiamolo con gli occhi di Roger Mac, quel medesimo sguardo pieno di amore, di desiderio e di dubbio col quale sfiora Bree. Lo percepiamo il fuoco che brucia in quest’uomo? È, dopo Claire e Jamie, uno dei personaggi che amo di più. Io adoro Bree, ma Roger…Roger è la quintessenza di tutto quello che di più bello e puro c’è in un uomo. Giocano, in auto, compongono filastrocche, ma la tensione affettiva, la tensione erotica è palpabile, Roger che le guarda le gambe e si sforza di fingere che non prova quel che prova, perché non forzerebbe mai Brianna. E guardiamo Brianna che lo bacia (shut up and kiss me) provocando lo sbandamento dell’auto (Avresti potuto mandarmi fuori strada), la reazione di Roger e la strada moderna che sparisce, come per un trucco da illusionista, lasciando apparire quel medesimo tratto di mondo ma due secoli prima. Non c’è autostrada, ma boschi e una via che sembra aprirsi come la scena di un teatro. John Quincy Myers conduce il carro, seduto accanto a Claire, Ian dietro e Jamie a cavallo. Il trapper parla loro dei Tuscarora. Costretti dall’avanzata dei coloni a migrare verso la Pennsylvania nel 1722, si unirono alla Lega delle 5 Nazioni Irochesi, dando vita così a 6 Nazioni simili che vivevano insieme. Il destino di tutti i Nativi, non dimentichiamolo, quando inflitto con stermini e guerre o quando ricevuto con più pacifici spostamenti è stato lo stesso: abbandonare le proprie terre, abbandonare la propria libertà, rosicchiando scampoli di vita la dove c’era, alcuni fino allo sterminio totale, altri all’abbrutimento delle odierne Riserve Federali. Ian è sempre più affascinato da Myers e dall’America e dalle donne Cherokee (I love this land!) e sorvolando i boschi punteggiati dai rossi vermigli, dai gialli paglierini e dai resistenti verdi, correndo con Rollo, tra cascate, musica che è incantevolmente scottish, prima di allargarsi a più ampio respiro e portarci ad ammirare il volo dell’aquila, viaggiamo fino a quel fuoco da campo, nella notte che ammanta tutto. Le distanze sono dilatate, la Terra che percorrono è sconosciuta, irta di pericoli e piena di bellezza, vastissima. Questo è un concetto che tutti i coloni, o quasi, avranno delle Americhe: enormi, vaste, selvagge, libere. La Storia si attesterà solo sulle prime due. Il resto sarà costellato di sangue e sopraffazione. Attorno al fuoco, tra una considerazione e la successiva, ecco l’annuncio scioccante: Myers ha chiesto a Ian di andare con lui. Guardiamo il fuoco che balugina sui loro visi, che rischiara la preoccupazione di Claire, che riscalda la speranza di Ian, che rende scura e densa la rassicurazione di John Myers (ve lo riporterò sano e salvo, lo prometto a entrambi) e carezza gli occhioni e il muso di Rollo. L’incanto del cielo stellato, il rumore del fuoco, il desiderio di Jamie di andare a Boston per darle la possibilità di vivere in un luogo più consono e la richiesta di Claire di costruire la loro casa e la magia di quel momento, con una fotografia e delle luci assolutamente superbe! Godiamoci questo momento Fraser, così intimo, così intenso, così…Calmo! Per esperienza sappiamo bene che la calma non è virtù di vita Fraser. Jamie, Claire e l’asino carico dei loro beni terreni attraversano il bosco, in cerca della loro terra Promessa (che è poi il refrain di tutti coloro che hanno calcato l’America, nessuno escluso, non in quel periodo) e, ovviamente, parlano di lei, di Brianna, il centro dei loro pensieri, la loro figlia sopravvissuta, il futuro. Parlano di Bree e Frank, notiamo la reazione di Jamie, così garbato e attento ma anche di Claire, in fondo Frank è stato un gran padre per Bree. Ha vissuto con la ragazza assai di più che la madre.  La tempesta in arrivo li costringe a fermarsi e mentre sono tutti zuppi, dall’asinello carico a Jamie, al muschio dei tronchi sui quali Claire siede, in una scena che si potrebbe chiamare Famiglia Viaggiante in Esterno, olio su tela, 18 secolo, dicevamo mentre sono zuppi, Jamie ha la possibilità di aprirsi: percepiamo quello snudarsi dinanzi alla sola persona che lo conosce come nemmeno lui ha esperienza di sé? E’ una circostanza rara, che ci proietta all’indietro, ripercorrendo con il Rosso tutta la loro storia. Un momento benedetto in cui guardiamo nell’immensità dell’anima incantevole di un Uomo che non ha mai pensato a sé, nemmeno per un solo istante, ma sempre a coloro che ha amato, che ama, in primis a sua moglie: metterei il mondo ai tuoi piedi Claire ma non ho nulla da offrirti. La tempesta esplode con violenza e il mulo si impaurisce e scappa ed è Claire, che cavalca all’americana, a corrergli dietro, giacché il cavallo di Jamie ha bisogno del ferro. Il cervo del quadro? Eccolo qui, nello Scottish Festival del North Carolina, in questa limpida, assolata mattina autunnale del 1970. L’atmosfera è gioiosa, ci sono tartan colorati dappertutto, Bree complimenta Roger per come si presenta col kilt e mentre si aggirano, sotto la tenda sulla quale svetta la bandiera scozzese (vi è sembrato di sentirla sbattere al vento tra i Ribelli di Bonnie Prince?), Brianna si stupisce che ci siano così tanti Scozzesi in North Carolina. Roger Mac da bravo storico le spiega che siano stati proprio gli esuli scozzesi a crearla e il pensiero di lei vola a sua madre. Quella amatissima madre che, sa, non vedrà più. Notiamo, en passant, che Bree chiama Jamie per nome, non lo chiama papà. Si fanno fare anche il ritratto, lei dovrebbe essere una Fraser ma sceglie di essere ritratta come una Mckenzie, come “il suo ragazzo” e finalmente ecco il clou del ritrovo: le danze! Bree non ha mai ballato ma Roger sì e con l’intraprendenza dei Fraser, lei si getta nella mischia e man mano che danzano, i colori diventano caldi: marrone, giallo (già scelti per rappresentare sia l’autunno che il 1970), oro che brilla, il rosso dei capelli di lei e la luce, ovunque quella luce che fa pensare all’amore, lo leggiamo nei loro occhi? E fa pensare alla spensieratezza di un istante assolutamente perfetto. Prima di piombare nel denso e scuro blu, grigio e verde muschio e fango marrone bigiognolo della foresta, con la tempesta che riporta si l’asino ma non Claire. Jamie lega la bestiola, ha ferrato il cavallo e chiama sua moglie a gran voce. Claire si è persa, un fulmine colpisce un giovane albero, che si incendia, atterrisce il cavallo che si impenna e disarciona Claire e mentre il cavallo scappa, la Nostra resta a terra, priva di sensi. Che dicevamo dei momenti di calma? Godiamoci lo Scottish Festival. Roger suona, nella tenda maggiore tutti ascoltano, Brianna è quasi tra le prime file, guarda Mac con un sorriso che è il manifesto di quanto prova. Prendiamoci una pausa, mentre osserviamo queste persone: che cosa fanno? Suonano, cantano, ballano, probabilmente bevono fiumi di alcol, insieme. Stanno celebrando, si, che cosa? Le loro radici, sono Scozzesi. Potrebbero essere Irlandesi o Italiani o Tedeschi. Che cosa accomuna persone che non si sono mai viste prima e le fa sorridere le une alle altre? Qualcosa che si chiama Patria. Non dirò dei distorcimenti nazionalistici del secolo scorso, strisciati anche in questo. Ma di quell’amore viscerale che proviamo, chi più forte chi meno, per le nostre radici, per chi siamo, per il posto dal quale proveniamo. Se lo guardiamo in contro luce, senza il peso della Storia a renderlo sfregiato di sangue, a volte, a renderlo impossibile da accettare, il posto da cui veniamo siamo noi. Le nostre radici, il sangue dei nostri Avi, quello che siamo diventati. Che la si chiami Patria, Madre Terra, che la si chiami Radici, nessuno di noi può senza danno e senza dolore recidere il legame e andare libero. La ferita sanguinerà sempre, perché siamo esseri umani che vivono su questa terra e ci piace dannatamente dirla nostra. Dovremmo ricordarcelo, sempre. Preservandola, amandola, dividendola con tutti quelli che la percorrono, come noi. Torniamo alle belle ginocchia di Richard Rankin e a quanto stia bene col kilt e tuffiamoci nella festa. Roger Mac canta e incanta noi e la platea e soprattutto lei, Brianna. La canzone che sembra una di quelle che parlano delle selkie scivola nei cuori e tra le menti e rende Bree sempre più …Innamorata? Roger bacia Brianna dopo che sono usciti dal ritrovo, per darle la buonanotte ma lei, con due regali, gli fa trovare la strada del proprio alloggio. Tra un discorsetto alla renna e una camicetta lanciata, finalmente i due danno libera uscita alla loro passione. Ma Roger, innamorato cotto, le dà un bracciale e le chiede di sposarlo. Progetta tutta la loro vita insieme, sembra che nulla possa fermarlo, se non Brianna, che gli chiede tempo, che vorrebbe avere una relazione con lui, si, ma non sposarlo ora (ho l’università e un appartamento…) ma a Roger questo suona esattamente ciò che è: un rifiuto. Così tra reciproche accuse e uno schiaffo, con l’ammissione di Roger di amarla e la mancata risposta di Brianna, la serata si conclude in modo burrascoso. Non meno che per Claire, la quale rinviene sotto una tempesta in piena regola, al buio, rischiarato solo dai lampi che furoreggiano nel cielo americano. Dolorante, disorientata, nell’oscurità cerca rifugio sotto qualcosa, un albero fa al caso suo (e speriamo che il fulmine non torni) ma siccome è Claire che cosa le và a capitare? Trova un teschio umano, nel fango, proprio mentre suo marito la chiama urlando per superare il fragore della tempesta e i lupi alzano la voce, in lontananza. La percepiamo la Natura Selvaggia? Si quella con le maiuscole, quella che non ha mai smesso di chiamarci, di insegnarci, di accudirci, nonostante abbiamo per millenni cercato di addomesticare il suo e il nostro lato primigenio, Lei è lì. Unica. Come unica è Claire Beauchamp Fraser Randall che, per calmarsi, aspettare il marito e chissà, magari, capire di più, studia il teschio, scorrendo con le dita sulle suture, sullo squarcio del cranio, trova anche un oggetto appuntito e luccicante. È una medicA, una scienziata? Studia. Indaga. Lo ha sempre fatto. Se nel fragore della tempesta ci sembra irreale che lei, dopo essersi scalzata, studi un cranio proviamo a pensare che cosa facciamo noi quando abbiamo paura. La luce che arriva da lei non è portata da Jamie, ma da un Nativo. Osserviamolo, truccato, ha una pietra al collo. Ma Claire, pure impaurita, non indietreggia e lui, che appare e scompare, non le torce un capello. Solo quando si gira, in un momento assolutamente paranormal, capiamo che è lo spirito dell’uomo morto, il cui cranio è stato trovato da Claire. Intanto nello stesso Stato ma duecento anni dopo, spiccioli alla mano, lo Scottish Festival ha il momento culminante dell’accensione del cervo: è notte, tutti sono seduti attorno alla scultura di legno, sugli spalti, le cornamuse accompagnano gli uomini dei clan, c’è anche Roger, che esibiscono gli stendardi e poi si siedono, in attesa della “chiamata dei clan”. Qui è una suggestiva cerimonia che si svolge mentre Roger e Bree tentano un rappacificamento che non arriva, lei non vuole sposarsi affatto ma lo ama? E lui la ama e farà solo le cose come crede sia giusto farle. Ricordatevi di questo momento, la Chiamata dei Clan è una cosa importantissima, lo so, lo so, ho detto che non parlavo del libro, ma quando l’ho letto lì, in un momento preciso della storia, mi sono commossa. E’ quel che dicevamo sulle Radici: ci sono. Non spariranno mai. Dire “I McKenzie sono qui” è affermare che con Roger Mac c’è l’intero albero genealogico, gli Antenati e se John Cinque di Amistad li definisce meravigliosamente (io sono la ragione per la quale sono esistiti) non possiamo non farci vibrare il cuore pensando a tutti coloro che ci hanno preceduti. Belli o brutti, antipatici o meno, erano i nostri familiari, i nostri antenati, le radici di quell’albero che è la nostra famiglia e, per estensione, la nostra terra natia. Tulach Ard, grida Roger mentre il cervo brucia, ma Brianna non c’è e il dolore che leggiamo sul viso dello storico fa tutta la differenza. La mattina arriva meno tempestosa per Claire, che si sveglia ma non trova le scarpe. Trova, però, orme, che segue, una novella Pollicina che un’orma dietro l’altra, scalza, con il teschio e il monile nella sacca, giunge al fiume. Il Rosso la accoglie felicissimo e si dice certo che lei sarebbe riuscita a tornare. Dove? Al fiume, dove le scarpe di Claire sono rimaste lì ad aspettarla. Ma non è stata lei a lasciarcele e Jamie non ha notato nulla di strano, intorno. Ma le impronte degli stivali hanno condotto i coniugi Fraser al ruscello. Lei racconta del fantasma, Jamie ringrazia qualunque spirito li abbia riuniti (anche se la superstizione scozzese per queste cose gli ha alzato un sopracciglio) e tacita sua moglie che vorrebbe parlargli della discussione della sera prima e di quello che lui non avrebbe da offrirle, così Claire inizia col rinfrescarsi al ruscello, mentre Jamie prepara i cavalli. Mentre pulisce con cura il cranio, Claire fa una scoperta incredibile: i denti presentano due otturazioni moderne, qualcosa che deve arrivare si, ma tra 100 anni, il ché la porta a concludere che quel nativo era un Viaggiatore, esattamente come lei. Il viaggio continua e in un bosco di una bellezza assoluta trovano fragole. L’emblema dei Fraser, ci spiega Jamie, risalgono ai tempi del francese Monsieur Freseliere, che si impossessò di una terra nelle Highland scozzesi e mentre sua moglie gli chiede se al Signor Fragola piacesse solo mangiarle o le coltivasse, anche, ecco che Jamie trova la sua terra. Conosco quello sguardo Jamie Fraser, sei innamorato, gli dice sua moglie. Si. Così mentre Jamie le spiega che un uomo più bravo vivrebbe altrove, e noi li vediamo, ecco l’ultima immagine della sigla prima del titolo, loro vivranno qui. Ma devono fare un patto col diavolo, accettare la richiesta del Governatore Tryon. Claire gli apre il cuore, ha sognato così a lungo una casa loro, una loro vita ed eccolo, il Rosso, che le chiede se si fida di lui, si con tutta la mia vita, e con il tuo cuore? Sempre. Fraser’s Ridge. Eccola qui, un abbozzo, ancora un’idea, qualcosa che, di fatto, esiste solo nei sogni dei due Fraser, ma esiste, perché sono le idee che danno vita ai piani, alle azioni, sono i sogni che nutriamo nel cuore a scrivere la nostra stessa esistenza. Uno dei momenti cardine di tutta la Stagione è questo: l’arrivo a casa. Ogni viaggio, che ci porti lontano o vicino, prevede un arrivo. Ogni giungere ci porta in un posto che possiamo chiamare casa. O che è la nostra vera casa. Lo stesso è per Jamie e Claire. La musica ci porta in alto, dalla magnifica prospettiva dei nostri due, contempliamo l’inizio di una nuova vita, in un Nuovo Mondo. “La chiameremo Fraser’s Ridge”. Ed è tutto quello che volevamo Jamie. Una casa loro, finalmente, come ogni coppia di questo vecchio mondo. Una Stagione sempre più tesa verso il futuro, sentiremo le Fife and drums suonare, sentiremo i dialetti delle Highlands risuonare tra i boschi e le valli americane, vedremo Nativi e Coloni e vibreremo al battito del cuore di questo Nuovo Mondo. Perché questa Stagione è solo all’inizio.

Recensione a cura di Cristina Barberis.

4 Risposte a “Recensione Outlander Episodio 403: The False Bride”

  1. LA LINEA TELEFONICA Non funziona e già ieri mi disperavo per non poter vedere la puntata….ma come mi sbagliavo! Basta leggere la recensione di Cristina e mi trovo immersa nell’atmosfera dei boschi con Claire e Jaime. Meglio che guardare la puntata. Grazie Cristina….come sai salvo tutte le tue recensioni fin dalla prima serie e sono stupende. Grazie ancora..

    1. Luciana carissima sono io che ringrazio te.
      Sei sempre incantevole e sapere che quello che recensisco dà a chi legge lo stesso piacere che dona a me mentre lo scrivo è incomparabile. Per il resto 😀 ci stiamo attrezzando!
      Ti mando un abbraccio enorme e mille auguri per la rete telefonica, i cui disguidi sono sempre più che noiosi.

    1. Carla ti ringrazio davvero, molto! Questo aumenta il piacere di scriverne altre. Spero di leggere altri tuoi commenti.

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