Recensione Outlander Episodio 207: Faith

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Pian piano ci avviciniamo al cuore di questa seconda stagione, un cuore che pulsa e che non ha mai smesso di incantarci col suo battito. Siamo al settimo episodio della stagione, Faith, scritto da Toni Graphia, che ci ha regalato finora intense emozioni. La regia è ancora una volta del bravissimo Hüseyin. Ed ecco, siamo immediatamente catapultati in un mondo che non è quello dal quale siamo usciti nello scorso episodio. Notate che non c’è il solito quadro iniziale. Con una incantevole musica iniziale, ci troviamo in una biblioteca, siamo a Boston nel 1954, una bambina con fiammeggianti capelli rossi e qualche dentino mancante, sta guardando dei libri. Sulla pagina di uno di questi trova un airone e ne chiede notizia a sua madre. Una splendida donna vestita di blu, coi capelli raccolti, perle al collo e alle orecchie e, alle mani, due fedi.  Claire Fraser è Claire Randall e quella bambina è niente di meno che Brianna, finalmente! Nel libro, come sappiamo tutti, Bree fa il suo ingresso in età adulta. Ma qui hanno voluto mettere questo inserto che, a parere mio, non solo è di una tenerezza incredibile ma ci aiuta a dare uno sguardo laddove il libro passa direttamente al 1968. Quell’airone che vola leggero nel cielo infinito ci porta, invece, di nuovo nella Parigi che avevamo lasciato. Non sarò mai grata abbastanza agli autori per quella piccola digressione, perché abbiamo bisogno di prendere aria prima di immergerci in questo mondo doloroso, con Claire sul lettino, all’Hôpital, circondata dalle cure amorevoli di Mere Hildegarde, con Monsieur Forez che cerca di salvarle la vita. Ed è di nuovo l’airone e quella lacrima che non scivola via, come cristallizzata sulla pelle di una morta, a dirci che cosa è successo, ad aiutarci a sopportare quanto stiamo per vedere. Ve lo anticipo, questo episodio mi ha dato davvero del filo da torcere. L’indicibile che si disegna con attonito dolore, quando la mente rifiuta di accettare, che si fa largo negli occhi allucinati di Claire, nell’espressione incredibilmente piena di dolcezza e di pietà di Mere Hildegarde mi fanno venire in mente questa frase di Hemigway “Se la gente porta tanto coraggio in questo mondo, il mondo deve ucciderla per spezzarla, così naturalmente la uccide. Il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati. Ma quelli che non spezza li uccide. Uccide imparzialmente i molti buoni e i molti gentili e i molti coraggiosi. Se non siete fra questi potete esser certi che ucciderà anche voi, ma non avrà una particolare premura.” Per quanto ci affanniamo non sarà il nostro merito a scansarci il dolore. L’unico modo per superare i colpi ricevuti è rialzarsi. Claire ha perso la bimba, che è nata morta. In un crescendo di tormento si ammala, pensiamo anche in che epoca siamo e le cure mediche quali siano, è già molto che Forez l’abbia salvata. Con l’assistenza del fedele Bouton e di Mere Hildegarde, Claire è vegliata, ma la situazione è grave, tanto che si fa venire un sacerdote per darle l’Unzione degli Infermi (volgarmente detta Estrema Unzione), il sacerdote le chiede se vuole confessarsi e Claire è sempre Claire: i miei peccati sono l’unica cosa che mi è rimasta. In fin di vita, ha perso la bimba, che pietosamente Mere Hildegarde ha battezzato, Faith, senza notizie di Jamie, Claire ci dà un assaggio di che fibra sia fatta. Dopo il sacramento viene lasciata lì, probabilmente a morire? Bouton la veglia, ma di notte ecco che arriva la salvezza. Un esserino che fa andare via persino Bouton. E’ Maitre Raymond, che per l’amica rischia letteralmente il collo, venuto in soccorso di Claire e con una scena emozionante da darmi i brividi, egli la guarisce dalla febbre puerperale, che mieteva vittime nelle partorienti come neve al sole. Raymond estrae la placenta, tocca Claire lungo i meridiani del corpo, laddove l’energia diventa quasi densa e la guarisce. Le dice perché la chiama Madonna (sempre in italiano, badate bene): perché le vede l’aura, quella di Claire è blu, come la guarigione, come l’aura di Raymond stesso, come il manto di Maria. L’erborista dopo aver assicurato a Claire che si rivedranno, scappa via, dando però ordine a Bouton di tornare sul letto e quello, che non obbedisce che alla superiora, sembra il cane dello speziale! In un colloquio pieno di intensità, apprendiamo che Jamie è alla Bastille St Antoine (di li a qualche anno sarà rasa al suolo) e Claire viene a sapere che Jack Randall è vivo (il gatto dalle nove vite) e rimpatriato in Inghilterra per convalescenza. Claire non sa che cosa ha spinto il marito a duellare e, quindi, non ha perdono per lui. Vi prego di fare caso alle musiche, sono incredibilmente belle, toccano il cuore e suscitano la commozione che le immagini, da sole, già evocano. Claire resta all’Hôpital per settimane, immaginiamo il tenore dei suoi pensieri? Il dolore del suo cuore? Ma Fergus va a trovarla, le porta dei fiori blu e le chiede di tornare a casa. Ed è lui, uomo di casa, che aiuta la donna convalescente a scendere dalla carrozza, in un blu straziante che si fonde col verde e con il leggero grigio e con il pianoforte che, di sottofondo, tocca la parte più sensibile di noi. Vi confesso che ho pianto, quando Suzette si è chinata piangente a baciare le mani di Claire o quando un commosso Magnus l’ha accolta, ricevendone in cambio un gesto di reverente grazie. Di tutto, di questa accoglienza, di aver mandato avanti la casa, di averla accompagnata al Bois de Boulogne, di averla soccorsa. Grazie, Magnus. E’ Fergus che si prende cura di Claire, le sta vicino, la pettina, ma ha qualcosa dentro che non vuole dire. Ma Claire è troppo presa dal suo dolore per accollarsene altro e, quando, di notte, nel chiuso della stanza, calcia via la scatola con i cucchiaini degli apostoli, in quel buio accogliente rischiarato solo dalle candele, il gesto è quello di chi non ha più Fede. Esce dalla stanza, come un corporeo fantasma, scalza, con la camiciola e la vestaglia, con la macchina da presa che la insegue tra luce e buio e la trova accartocciata di dolore a piangere in un angolo fino a che non sente delle grida. E’ Fergus ed ecco, in un mondo sospeso tra dolore e amarezza, il piccolo ladruncolo racconta a Claire che cosa è successo e, man mano che lo fa, la consapevolezza (pensate al suo viso quando ha tra le mani la bottiglia di profumo alla lavanda!) si fa strada in lei. E mentre Fergus scende nei gradini di un inferno personale in cui, come tutte le vittime di violenza si incolpa, ecco che arriva la verità: Jonathan Randall lo ha violentato (ricordate quando lo stesso Fergus disse a Jamie che non sarebbe andato con lui? Era pratica comune abusare sessualmente dei bambini. Oggi inorridiamo, allora tutti coloro che non potevano difendersi erano soggetti alla violenza dei più brutali.) e avendo chiamato Jamie in aiuto, quello si è scagliato contro Randall, sfidandolo a duello. Il piccolo Fergus si incolpa di non aver sopportato in silenzio, chissà in altri tempi lo avrebbe fatto ma adesso no, perché adesso ha qualcuno che pensa a lui e, come ogni bambino, come ogni figlio, nel momento del bisogno, chiama. Claire va a impetrare aiuto da Mere Hildegarde la quale, avendo avuto il Re Sole come padrino, ha la facoltà di chiedere qualcosa al Re attuale. Quando Claire espone la sua richiesta alla superiora, ella la avvisa che il Re è un uomo volubile e che vorrà qualcosa in cambio, probabilmente andare a letto con Claire. La quale, con una forza che ha davvero radici profonde, va fino in fondo. Fermiamoci un momento: non sembra strano che una religiosa conosca così bene determinate bassezze? No, pensiamo che la superiora è una figlia del suo tempo, se anche oggi non si dà nulla per nulla, immaginiamoci all’epoca che cosa dovesse essere. Mere Hildegarde è una donna forte si ma una donna, quel velo non le ha tolto nulla, ella deve battersi contro le ingiustizie del mondo esattamente come tutte le altre donne. Claire arriva a Versailles e passando tra sale ricche di libri e di bei mobili, con un abito verde che le rende giustizia, è una moglie sofferente e una madre addolorata, non le si sarebbe adattato nessun altro colore, niente di frivolo, ha solo una collana estremamente semplice, come tale è anche l’acconciatura, viene ricevuta dal Re. Egli sfodera un sorriso compiaciuto e accoglie Claire affabilmente, ricorda un predatore che abbia atteso a lungo la preda. Tutto nella stanza è perfetto, dalla luce alle stoffe, dalle porcellane, alla frutta, dal garbo del Re alla sorpresa di Claire. Le offre cioccolata, arrivata dalla nuova Spagna, stiamo parlando di un vastissimo territorio che occupava gran parte degli attuali Stati Uniti e del Messico, e una arancia di uno dei suoi oltre  mille alberi. Avere un aranceto era un lusso, un vezzo, qualcosa di spettacolare. Ricordiamoci che la frutta era qualcosa che si raccoglieva stagionalmente, non come oggi che si mangiano (e non capirò mai il motivo) fragole a febbraio e cocomeri a maggio. Un’arancia data così è un dono inestimabile. Il Re non ha fretta e si gode con calma ogni momento. Claire gli è piaciuta dalla prima apparizione e averla lì, tutta per sé, poterla corteggiare, letteralmente, acquista un significato estremamente importante. Claire fa la sua petizione e si dichiara estremamente grata. Questa è, per il Re, la prova che la donna è disponibile. Lui non ha intenzione di consumare un volgare stupro, del resto è Sa Majesté. Luigi XV, il Beneamato. E’ un uomo che la Storia ricorda per una certa debolezza politica e per i numerosi tradimenti alla sovrana, avrà ben due celeberrime amanti, Madame de Pompadour e Madame Du Barry tra le tante altre. È un uomo che antepone le proprie passioni al governo. E tra quelle passioni c’è anche quella che porta Claire, attraverso una porta-pannello, rossa, dopo aver passato una doppia porta dorata con simboli di sole  e presidiata da due guardie mascherate, in una stanza semplicemente bellissima: dal soffitto bucato penetra la luce dando idea di trovarsi dinanzi al cielo notturno stellato e il pavimento e le pareti sono quanto di più lussuoso ci sia. La vista del boia del Re fa capire a Claire che qualcuno deve morire e con un colpo di scena degno di menzione, le vengono presentati due accusati di stregoneria: Maitre Raymond e Le Comte de St. Germain. Li nel buio fiammeggiante della stanza, con la luce delle stelle a illuminarla, Claire deve affiancare il Re nel giudizio. A Claire, in virtù del suo essere La Dame Blanche, “pura nell’anima” viene chiesto di guardare nelle anime dei due condannati e di decidere chi vivrà e chi morirà. Povera Claire, di nuovo  il triage, di nuovo quel decidere tra vita e morte come quando era infermiera. Le luci sfavillano alle spalle, la musica raggiunge un crescendo intenso, il cuore salta in gola ed ecco che Claire, in un momento davvero drammatico asserisce di vedere del marcio nel nobile. Il quale, ovviamente, la accusa di stregoneria perché dice chiaramente di averla avvelenata (la cascara amara, ricordate quando Jamie la raccoglie dalla sala dove ha appena battuto il ministro delle Finanze e c’è Le Comte in secondo piano?) e lei non è morta, quindi la accusa di stregoneria. Ma mentre a Cranesmuir le cose si erano messe male, qui Claire sa giocare finemente e, infatti, si dichiara una strega bianca niente meno che al Re. Chiariamo, non era strano credere che si usasse la magia, quello che il Re non voleva era che la magia fosse usata per pervertirsi e fare del male. Che è ben diverso dall’essere scettici come siamo oggi. Claire asserisce di leggere nell’anima di tutti, persino del Re ma non si è ancora deciso e quindi il Re fa portare dentro il serpente che, in forza ad un versetto della Bibbia, dovrebbe dare il suo placet sull’uccisione del vero colpevole. Spaventata dall’esito, Claire suggerisce al sovrano di usare il veleno che lei ha sconfitto, con la clausola che se entrambi sopravvivranno, il Re li libererà. Il momento è intenso, Claire sembra una di quelle maghe che spopolavano nel 18° secolo alla Corte di Francia e delle quali i nobili si servivano in gran copia, per i loro amori, contro i loro nemici e per regolare tutto quello che un pugnale avrebbe portato troppo alla luce. Claire passa la coppa “avvelenata” a Raymond, che, da attore quale è, dopo aver bevuto ed essersi piegato per il dolore, la porge a Claire e quando questa sta per darla al nobile ecco che la pietra che porta al collo da bianca diventa nera! Ho avuto un brivido, ve lo confesso, grande colpo di scena e grandissima audacia di Raymond e, adesso, Le Comte deve bere, il Re è lì che vigila e il Boia anche. E dopo aver salutato a modo suo sia Raymond che Claire, Le Comte beve. I suoi spasmi mi hanno fatto sentire in colpa, per quanto qualcuno possa averci fatto male, vederlo agonizzare e morire è qualcosa che non possiamo mai chiamare giustizia. Vendetta, forse. E la capisco. Ma non giustizia, per questo capisco quando il commissario Montalbano inveisce contro il termine “giustiziare” per dire uccidere. Perché non si rende loro giustizia, non quella con la G maiuscola. Torniamo a noi, Maitre Raymond è salvo e il Re lo manda via e Claire fa una citazione testuale, di una frase “Tu mi mancherai più di tutti.” Che è quello che Dorothy dice allo Spaventapasseri ne Il mago di Oz. Il film era uscito nelle sale nel 1939 e quindi è verosimile che Claire possa averlo visto. Con il cadavere de Le Comte sul pavimento, in quella sala bellissima in cui sembra che davvero i raggi luminosi delle stelle fiammeggino tra le pareti, il Re porta via Claire perché, chiaramente, esige un pagamento. Nessuno dà niente per niente e nemmeno l’aver assistito alla morte di un uomo ferma Sa Majesté. La musica accompagna con note strazianti quella Claire trascinata. Il Re la deposita sul letto (ammetto che ho guardato coperte e particolari) e dopo averle sollevato le gonne ed essersi abbassato i pantaloni, consuma il tutto con una celerità che, francamente, mi ha stupito. Non che mi aspettassi dei preliminari, ma nemmeno quello. C’è da pensare che egli abbia ricevuto sufficiente stimolo con la morte e la violenza? Lascerò la domanda inevasa, non voglio cercare la risposta, non stavolta. Il Re concederà la grazia a Jamie sia in Francia che in Scozia, si adopererà perché egli la ottenga anche li. Claire raccoglie l’arancia, sarebbe stato fare uno sgarbo lasciarla lì, e si allontana. Quello sguardo affranto che volge all’indietro è emblematico: ha perso un amico, ha visto assassinare un nemico e ha infranto il voto sponsale. Parigi ha tolto molto ai Fraser, molto più di quel che ha dato loro. Ed ecco, c’è un grande assente, in tutta questa storia, che non abbiamo ancora veduto, cui stiamo pensando dall’inizio: quando vedremo il rosso chiomato gigante scozzese? La regia è impeccabile, come lo è la sostanza di questo episodio, cui Toni Graphia conferisce un dolore lancinante intinto nel sangue che ci rende deboli e, al medesimo tempo, affascinati. Contempliamo l’ascesa di Jamie sullo scalone, perfetta la fotografia, lui solo che sale verso la moglie, con il passo stanco dello sconfitto. La scena sembra familiare e serena, un uomo che torna dalla propria donna. In realtà no, qui c’è un uomo che sa di dover affrontare tanto dolore. Ma non si ferma, non esita e affronta la moglie. Arriva direttamente dalla Bastille quest’uomo cui la donna in blu (c’è uno sfoggio di questo colore che mi ha rasserenato, pur nel dramma, come se tutto quello fosse l’inizio della guarigione) descrive che cosa è stato (tu mi odi Claire? Ti ho odiato…Col ticchettio dell’orologio, la scena che si frantuma come la statua della vergine che cade, Claire che viene bloccata dalle suore, Claire che culla la bambina morta, bella come una perla bagnata dal mare, Claire che sembra folle ad una Louise affranta) e quello che ha dovuto subire. Credo che ogni madre, anche in questi nostri “moderni” tempi, si chieda, almeno una volta durante la gravidanza, se perderà il bambino. È un terrore che ringhia acquattato nell’ombra, ve lo assicuro. Perché fino a che non li mettiamo al mondo, non siamo certe che ci saranno davvero, eppure li sentiamo muoversi dentro di noi, ogni giorno e, quando nascono, ci sembra che il mondo abbia finalmente senso, abbiamo fatto così tanti pensieri e custodito così tanti sogni, su di loro, che non ci è possibile credere che quell’esserino minuscolo non ci sarà. Il dolore di una donna che perde un figlio è qualcosa che non si può rendere a parole. Come a me mancano le parole per rendervi la bellezza di quel dialogo tra Claire e Jamie, in cui uno perdona l’altra, in cui il peso di quanto è successo è umanamente impossibile da sopportare per un essere solo ma che si può provare a portare in due. E, quindi, ecco che Claire, con un Jamie barbuto e affranto, piangente (ma quanto sono bravi? Lui che piange e che strappa il cuore a pezzi e lei che trattiene le lacrime, smarrita e che, per farlo, muove gli occhi in continuazione, come chi sta cercando la forza di pronunciare una sola parola, un’altra ancora) decidono di tornare a casa, in Scozia. Ma prima vanno dalla figlia, quella piccola lastra tombale, con il nome e l’anno: Faith Fraser, 1744. Vi dico che ho pianto a fiumi, senza requie, per scrivere la recensione ho faticato. Perché quando muore qualcuno che amiamo è straziante ma la morte di un’innocente è qualcosa che non si può raccontare e, in quel cimitero, tra tante altre piccole lastre come quella di Faith, Jamie e Claire (i costumi sono perfetti) consegnano la figlia alla Francia, con l’accompagnamento di quel pezzetto di Scozia che è uno dei cucchiai, quello di Sant’Andrea. Perché l’apostolo è patrono della Scozia, dal X secolo, quindi eccolo il significato di “un po’ di Scozia” lasciato con Faith. E mentre la musica ci porta per mano, l’immagine si allontana, lasciando i Fraser chiusi nel dolore.

Forse l’episodio più toccante e denso di pathos della seconda stagione, ci ha dato un colpo al cuore dietro l’altro e ci consegna, adesso, dritti dritti tra le braccia di una Storia che, si voglia o meno, accadrà. E tutto andrà come deve andare. Che dire, a margine di un episodio così struggente? Musica e costumi eccellenti, recitazione impeccabile, ma, permettetemi, oltre a Claire, meravigliosa, o al pianto di Jamie, quello che mi è rimasto impresso in tutto questo, a livello di recitazione, è stato il giovane Romann Berrux, impareggiabile bambino oltraggiato e piegato dalla vita che pure resta un bambino che chiede aiuto e che, come ogni vittima, si dichiara colpevole, finendo col piangere straziato tra le braccia di Claire. Una prova superba. Dargli un voto? 10!

Recensione a cura di Cristina Barberis.

2 Risposte a “Recensione Outlander Episodio 207: Faith”

  1. Cristina, ho pianto ancora… che dire , non ti conosco personalmente ma lo vorrei per abbracciarti e dirti
    GRAZIE. Mi sono permessa di mettere la tua recensione nel mio diario, in modo che i miei amici ti
    conoscono.
    Un grande abbraccio, continua a scrivere, dai voce alle emozioni che proviamo. Ci riesci in modo perfetto!
    Con ammirazione

    Luciana

    1. Grazie, infinite grazie Luciana, le tue parole mi fanno un bene che non so rendere. Ogni settimana entro con te, e con tutti gli altri che amano Outlander e che ci seguono, in un mondo che ci avvince e ci fa pulsare il cuore e, talvolta, ci macera di lacrime, ci fa saltare sulla sedia e parlare da sola 😀 davanti lo schermo, un mondo che non cessa di suscitare la nostra ammirazione. Ho conosciuto questo mondo più di 20 anni fa ed è stato amore a prima vista. Ancora e sul serio, grazie 🙂 per quello che scrivi.

      ps …e della condivisione <3

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