Recensione Outlander Episodio 203: Useful Occupations and Deceptions

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Siamo arrivati al terzo episodio. Tre è il numero perfetto, si dice. “Useful Occupations and Deceptions”, diretto anche questo da Metin Huseyn, ci introduce immediatamente in un ambiente domestico. Avrete di sicuro notato che ci stiamo muovendo, sinora, nel chiuso di palazzi, di case, di botteghe e di magazzini del porto, eppure la vita scorre densa esattamente come durante una fuga del clan dopo aver rubato bestiame al clan rivale.  E nel chiuso di un ambiente intimo come la camera ecco il nitrito di un cavallo, che funge da sveglia per Claire, la quale si alza, infila una vestaglia e va ad accogliere suo marito. Seguendo Claire e Jamie esploriamo un palazzo di un benestante del 1745: se pensiamo che i mobili erano frutto dell’arte manuale e che ogni dettaglio di quell’arredamento è curato nei minimi particolari, dallo sfoggio di blu nelle tende e sulle pareti, al legno liscio e levigato dei mobili, alla consistenza fredda del ferro lavorato lungo le scale, ci rendiamo conto che mantenere un tenore di vita di quel genere è assai dispendioso e che, quindi, il commercio di vino deve rendere assai bene.

Jamie è impegnato a fermare la ribellione, più impegnato di un uomo d’affari di oggi con una fitta agenda e sua moglie, che deve solo sorbire tè e chiacchiere, si annoia.

Soprattutto perché le donne che deve incontrare non sono sue amiche.

Seduta attorno ad un tavolino, con indosso un delizioso abito giallo che evidenzia la perfezione della pelle, Claire gioca a carte con Louise, mentre la piccola Mary si lamenta del triste destino di chi sposa un francese: dover sottostare addirittura a qualcosa di incredibile riguardo… Insomma, sai? Quello che fanno a letto! Tra le risate divertite di Louise e la dolcezza di Claire, salta fuori un particolare importante: Mary proviene da Seaford nel Sussex e, come di colpo, dal giallo e dal verde e dalle evoluzioni del  ramage e dall’oro e dagli stucchi del 1745 piombiamo nel più grigio e marrone di due secoli dopo in cui Frank mostra alla moglie la Bibbia di famiglia sulla quale, come era consuetudine, si annotavano le date importanti della famiglia che la possedeva. E’ lì che Claire legge chiaramente che Frank discende in linea diretta da Jonathan Wolverton Randall e da miss Mary Hawkins. Che sia sgomenta è dir poco, è profondamente turbata dalle implicazioni di quanto la Storia stessa, con indifferente serenità, le sbatte in viso quel che accadrà. O che potrebbe accadere. L’esistenza stessa di Frank, uomo che lei ha amato, potrebbe essere in pericolo o addirittura scomparire, se Black Jack morisse prima del 1746. Non è un peso da poco che Claire deve sostenere, ora che sa che il Capitano dei Dragoni è vivo, si trova nella terribile posizione di volerlo morto per salvare la vita del marito del 1745 e di volerlo vivo per la salvezza dell’altro, quello di due secoli dopo. Tornata a casa, con un profluvio di blu esterno e di cognac e di giallo all’interno, ragguagliata dal servitore sui vari inviti e sulla ricerca del serpente di legno (intagliato per Jamie dal fratello, morto a otto anni) è  a causa di uno scialle che Claire scopre la cameriera Suzette a letto con il nostro prode Murtagh.

Seduta come una damina di quelle che ammiriamo nei dipinti del 18° secolo, meravigliosamente composta sul divano scuro, Claire rammenda da sé il proprio scialle e quando Murtagh compare, hanno modo di battibeccare in maniera veemente. Poi Claire si scusa e si libera di quel peso, così tremendo: Black Jack è vivo! All’iniziale incredulità di Murtagh, Claire contrappone la testimonianza del fratello minore del capitano, Alex Randall. E a Murtagh non resta che esclamare, e a ragione, “Quel Randall è davvero il figlio del Diavolo.” Che detto da un cattolico del 1700 ha un valore assai diverso da quello che avrebbe sulle nostre bocche. Oggi che il diavolo è diventato un essere disincarnato per la stessa Chiesa, che attribuisce il Male non più o non soltanto all’azione del padrone degli inferi, ma alle scelte delle persone, non è così ponderoso quel che Murtagh afferma. Ma se pensiamo che Claire stava per morire come strega, accusata di mercimonio col diavolo, capiamo che quella affermazione è ben più che una esclamazione di amarezza. Ha il peso di una sconfitta, il peso di qualcosa che non si può contrastare.

Murtagh, che è un uomo degno di questo nome, rassicura Claire che il nascondere la verità a Jamie sulla non morte di Randall è giusto, a meno che non voglia farlo correre in Scozia dove, che uccida o meno Randall incontrerà il suo Creatore sulla forca. La scena drammatica, molto intima, molto empatica, si conclude con quella domanda di Claire sul controllo delle nascite che, al di là della battuta, è un problema reale. Non c’era una vera contraccezione all’epoca, si correva ai ripari solo dopo il fatto e, spesso, era tardi o si moriva per questo.

Potremmo immaginare adesso, sospiro di sollievo, buio, dissolvenza e… ciak, azione! La musica ci trasporta nei salotti di Versailles, dove il nostro prode scozzese gioca con il ministro delle finanze Duverney, a scacchi. Lo batte, irrimediabilmente e ottiene, oltre che la non troppo scherzosa richiesta di rispettarlo meno e lasciarlo vincere di tanto in tanto, anche di portarlo con sé al bordello Maison Elise, dove ormai sia Jamie che Prince Charlie sono di casa. Quanto a Claire si reca da Maitre Raymond per un rimedio anti gravidico per Suzette e qui incontra monsieur Le Comte de St. Germaine. Il confronto è piuttosto intenso e il nobiluomo ha un atteggiamento che, a prima vista, si potrebbe definire bonario. Ma chi lo conosce sa che, dietro un sorriso, si cela un pericolo altrettanto acuto. Quando Claire chiede allo speziale se tratti sempre così amichevolmente i suoi nemici, la replica ci fa correre un brivido di paura: interessi comuni fanno stringere alleanze anche coi nemici. Suona quasi come un avviso per Claire, non sembra anche a voi? Claire chiede il rimedio e poi ha modo di aprirsi a Maitre Raymond, che dopo averla edotta sull’uso che egli fa della Cascara Amara, ricordiamola quest’erba, al posto del velenoso Aconito, le propone di impiegare le doti di guaritrice presso l’Hopital des Anges, una istituzione caritatevole sempre affamata di aiuti.

Entrare in quel luogo è stato per me fonte di soddisfazione, finalmente poter incontrare il piccolo Bouton, sorella Angelique, che però non immaginavo così piccolina di stazza e l’incomparabile Mere Hildegarde, il pilastro, sostegno e unico fondamento di quel luogo. Chissà perché per me la superiora era un gigante, mentre qui è quasi più bassa di Claire, sarà forse dovuto alla scelta del cast. Scelta che, nonostante altezze o colori di occhi, si rivela perfettamente azzeccata, così come è azzeccata la diagnosi che Claire fa ad una povera diabetica, cosa che le conquista il rispetto di Mere Hildegarde. E dalle sofferenze dell’Hopital des Anges, passiamo al bordello di Madame Elise, in cui troviamo Jamie che porta con sé il ministro delle finanze di Re Luigi perché scoraggi Prince Charlie dall’intraprendere la ribellione e, invece, con un colpo di scena perfetto viene lì per lì informato (niente di meno che dalle regali parole) che il Principe sta raccogliendo abbondanti fondi, sia grazie a patrioti inglesi che ad appoggi che egli sta tessendo e, dinanzi allo sgomento di Jamie, il Principe stesso equivoca quell’espressione e la scambia per <sorpresa e sollievo.> Al ministro francese, di fronte alla promessa del Principe che una volta sul trono si alleerebbe con la Francia, a fronte però di esser subito aiutato in denaro, non resta che assumere il compito di parlarne al Re.

Tornato a casa Jamie non trova Claire. Quando la moglie torna, felice e soddisfatta di una giornata che ha avuto finalmente uno scopo, egli manifesta in maniera decisa e ostile il suo dissenso, giacché non solo frequentare quel posto per una donna incinta è pericoloso ma, a suo dire, gli viene a mancare l’aiuto e l’appoggio di colei che ha voluto fermare la ribellione. La discussione, nonostante le spiegazioni di Claire, degenera e Jamie lascia la casa, davanti lo sguardo preoccupato di Murtagh e accompagnato dalle parole di Suzette che rivela al padrino del nostro che i due coniugi non hanno più una vita di alcova.

Jamie, che cerca sfogo nell’alcol e nella solitudine alla frustrazione di una situazione che sta diventando man mano più pesante, fa la conoscenza di un altro dei personaggi fondamentali della saga: Fergus. Personalmente amo molto questo ragazzo, questo figlio delle strade buie e maleodoranti di Parigi che si affaccenda tra un sorriso e un inchino a rubare tutto quel che può, con destrezza e abilità. A differenza del libro, in cui Jamie salva il ragazzo dalle ire di un cliente derubato del bordello, qui lo insegue, al ritmo di una frizzante composizione di Bear McCreary, per le vie della città tra cavalli, carrozze, vicoli, portoni e panni stesi. Ma Jamie Fraser è si alto come una torre ma straordinariamente agile per un colosso come lui. Acciuffato il piccolo Fergus contratta per un lavoro da affidargli. Piccola digressione: avete notato che il ragazzino equivoca, difende sé dalle possibili mire sessuali di Jamie  e che Jamie non fa una grinza? Del resto lui stesso per sfuggire alle mani del Duca di Sandrigham aveva usato un espediente poco pulito ma efficace. Ma, oggi, sappiamo, sarebbe ascrivibile come reato e tra i più indegni e vili che esistano. Allora, a quell’epoca, invece, chi si preoccupava di un bambino? Di un paggetto? Della sorte di un orfano? Nessuno. Triste a dirsi ma anche gli ospizi di carità potevano assai poco. Quando ci viene in mente che andare indietro nel tempo è straordinariamente avvincente, ricordiamo anche delle malattie che uccidevano centinaia di persone e che noi sconfiggiamo con una pasticca, della sorte di quei bambini che noi oggi sappiamo essere nelle zone povere del nostro mondo cosiddetto civilizzato e che morire per stregoneria era più facile che attraversare la strada con una carrozza lanciata in corsa. Insomma, alla fine, di ogni epoca ci sono vantaggi e innegabili svantaggi. Ingaggiato Fergus come ladro personale, Jamie lo porta a casa con sé, dove il piccolo bricconcello ha la possibilità di esibirsi in complimenti ad hoc con Claire, dove Jamie espone a sua moglie della necessità di avere un borseggiatore a casa (rubare le lettere di chi corrisponde col Principe scozzese e copiarle e farle riportare prima che si rendano conto dell’ammanco) cosa che fa esclamare alla sola e ancora rattristata Claire <E’ un buon piano!> verso suo marito, il quale , però, invece di restare con lei, le ricambia il complimento con un garbato <Grazie e buonanotte.> Qui, non so a voi che effetto abbia provocato, ma a me ha dato l’idea che la trama ci porti ad un allontanamento dei due, anche se solo temporaneo. Il che è un espediente molto intelligente, dove sul libro le cose succedono in più giorni e in più pagine, qui le continue uscite di Jamie al bordello, l’ingaggio di Fergus e il disappunto dello scozzese sulla presenza della moglie all’Hopital diventano cuore e forza per scuotere un rapporto che è stato, sinora, granitico. La voce di Claire ci informa sulla nuova routine che si osserva nella casa di Jared e, man mano, con la musica, sempre all’altezza, ineccepibile nella sua bellezza, la voce narrante ci porta a seguire Claire che cresce nella stima di Mere Hildegarde. D’altro canto Jamie e Murtagh, impegnati nella copiatura delle lettere, scoprono un codice in musica e la decifrazione richiede l’aiuto inaspettato e soprattutto insospettato della Superiora dell’Hopital. Claire con l’aiuto di Bouton, cane dal fiuto e dalla comprensione del francese quasi miracolosa, incide una pustola (espediente che nel libro è usato da un medico che immobilizza l’arto con l’inserzione, con l’inclusione di un chiodo, che mi fa chiedere se sia quello della sigla magari usato in un altro momento) ed estrae il corpo estraneo proprio nel momento in cui Jamie giunge a chiedere l’aiuto della suora. Peccato che non ci sia il duetto tra Jamie e Bouton, l’avrei apprezzato molto. Mere Hildegarde scopre che cosa sia quel pezzo musicale, una maldestra imitazione di alcune geniali invenzioni di un suo amico, Herr Bach (si, il famoso compositore) cui la suora non attribuisce una durata di fama nel tempo ed è Jamie (non Claire con la suora come nel libro) a decifrare il metodo usato (la chiave, musicale, è la chiave di interpretazione) e il contenuto, a dir poco sorprendente: dalla lettera si capisce che il principe Stuart sta bleffando ma che sa anche farlo bene, che è in grado di far credere ai giacobiti e al Re di Francia che gli Stuart possono andare sul trono. La lettera è firmata “S” e quindi si capisce che sia stata scritta dal Duca di Sandrigham, il quale fa il doppio gioco con Inglesi e Scozzesi. Quando Jamie, felice del risultato, va a prendere una bottiglia, Murtagh dice a Claire che è il momento di parlare a carte scoperte col marito o quando quegli siederà col Duca vedrà anche il segretario di questi e saprà tutto. Dopo un brindisi particolarmente tenero, proprio nei confronti di sua moglie, questa non ce la fa a rivelare al marito adorato il peso di quella tragedia che cova come brace sotto la cenere.  Per adesso, tra “utili occupazioni e inganni” possiamo solo sperare che la scoperta di Black Jack vivo trattenga, nonostante tutto, Jamie Fraser su suolo francese.

L’episodio si è snodato tra luci e ombre, tra notti sempre più lunghe e giorni densi di noia e di ritmi lenti, almeno fino a che non sono entrati in scena i nuovi personaggi. Le tensioni create tra i coniugi restano palpabili, i due hanno fatto pace nello studio della madre superiora e Jamie che brinda alla fine è il tramite tra la Scozia e la Francia, tra quella vita di fughe e di fango e di ferite e di spalle rotte e di frustate che staccano la pelle e lacerano il cuore e i salotti parigini, in cui tra scacchi e lettere si decidono alleanze e nei bordelli si gioca il destino di migliaia di ignari Scozzesi. La vita parigina è solo in apparenza più noiosa di quella scozzese, perché qui i meccanismi sono più sottili, anche se non sembra di esserci discostati tanto poi dai giochi di potere e dalle alleanze del Laird McKenzie, non credete? Un plauso per i costumi, l’abito giallo è incantevole, con la mantella e gli accessori coordinati, così come lo è il panciotto bianco che Jamie indossa per tre quarti di episodio o anche i semplici abiti di Fergus. Un plauso per le luci, che dosano la tensione e la accrescono o la smorzano, nelle varie scene e un altro per le musiche. In questa serie la parola eccellenza sta diventando “normale”. Non lamentiamoci del ritmo solo in apparenza lento, facciamone tesoro, perché da qui in poi sospetto che, dai fili tirati e dalla trama infittita,  il fiato ci mancherà dal prossimo episodio in poi. Lunga vita ad Outlander.

Recensione a cura di Cristina Barberis.

2 Risposte a “Recensione Outlander Episodio 203: Useful Occupations and Deceptions”

  1. Io guardo la serie in questo modo: la prima volta in versione originale, poi con i sottotitoli, ma comunque mi perdo sempre qualcosa. A questo punto leggo la recensione della nostra ineguagliabile Cristina e
    riguardo la puntata con occhi nuovi, più acuti e consapevoli e vedo colori, luci ed ombre che mi erano
    sfuggiti.
    Che dire allora, grazie Cristina per il lavoro che fai, sei eccezionale (ma già l’ho detto), e questa volta, se
    permetti ti dò del tu, perchè ormai sei quasi di casa
    Un abbraccio e tante cose belle
    Luciana

    1. Grazie Luciana, diamoci del tu, per me resta un onore e grazie di quel che dici, non è una posa ma sapere che riesco a comunicare, condividere con chi mi legge le emozioni che provo è ineguagliabile. Un abbraccio, grandissimo.

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